Sensation Seeking. Sento quindi sono

“Quando mi arrampico non penso a nient’altro. Nella mia mente c’è lo spazio subito intorno a me, visualizzo il prossimo appoggio per il piede, l’appiglio che la mano deve afferrare nei secondi successivi. Lassù non esiste ieri né tantomeno domani: devi rimanere ancorato all’istante presente. Altrimenti sei spacciato!”.
 

Questo pensiero di un anonimo scalatore è rappresentativo delle esperienze flow: esperienze “fluide”, di fusione con l’attività che si sta praticando, dove non c’è spazio che per ciò su cui ci sta concentrando.

Csikszentmihalyi nel 1975 ha scoperto e descritto le esperienze flow appunto negli scalatori. La loro percezione del tempo passato si contrae al massimo ai trenta secondi precedenti e la loro pianificazione non supera i cinque minuti. Non esiste assolutamente nulla oltre all’azione che stanno ora svolgendo: tutto è chiaro e limitato all’arrampicarsi. La vita con la sua complessità in questi momenti non esiste.

Esperienze flow si possono però presentare anche con altre attività procedurali, ad esempio giocando a scacchi, suonando, dipingendo. Concentrandosi quindi su attività non a rischio.

L’esperienza flow dello scalatore rientra più nell’area del “sensation seeking”, letteralmente “ricerca di sensazioni”. I sensation seekers sono quelle personalità alla continua ricerca di sensazioni nuove ed intense e disponibili a correre rischi per poterle ottenere. Questi individui non ricercano il rischio di per sé, esso però è una conseguenza del fatto che le sensazioni più forti possono essere sperimentate spesso solo in situazioni estreme, come l’arrampicata appunto.

La ricerca di emozioni estreme è insita nell’essere umano: pensiamo ai bambini, che fin dai primi mesi di vita adorano essere lanciati in aria per poi cadere nel vuoto, fino ad incontrare di nuovo le braccia dell’adulto. Pensiamo agli adolescenti, che nel percorso di ricerca di un sé differenziato da quello dei genitori e a causa di un non completo sviluppo della corteccia prefrontale (che permetterebbe di prevedere anticipatamente le conseguenze delle proprie azioni, quindi a filtrare i comportamenti potenzialmente pericolosi) tendono ad agire per contrasto rispetto ad un dato sistema educativo genitoriale, mettendo in atto condotte di protesta e trasgressione, spesso pericolose. Pensiamo ai parchi divertimenti, con le loro attrazioni adrenaliniche.

Cosa si nasconde dietro a questa ricerca di emozioni intense? Dietro a questo piacere per situazioni potenzialmente rischiose?

La paura che proviamo davanti ad una situazione potenzialmente a rischio ci assorbe e richiama tutte le nostre energie focalizzandole sull’evento. Scatta in noi un campanello d’allarme, per cui allontaniamo la stanchezza, blocchiamo la digestione, distogliamo l’attenzione da altri processi del nostro corpo, anche dai piccoli fastidi quotidiani, ci sentiamo più lucidi e pieni di energie. Ci sentiamo insomma più vivi.

Queste sensazioni sono possibili proprio perché puntiformi, momentanee, non durevoli nel tempo. È una conseguenza dell’attivazione del sistema adrenergico, un sistema che si attiva nelle situazioni in cui il nostro organismo percepisce un pericolo di sopravvivenza.

La nostra mente dunque associa queste sensazioni piacevoli e desiderabili di autoefficacia e potenza all’evento rischioso, e saprà che si riproporranno solo quando quest’eventualità si presenterà ancora.

L’adrenalina però, come ogni sostanza chimica nel nostro organismo, tende ad avere una potente efficacia solo e soltanto perché viene stimolata raramente. Il nostro corpo infatti, davanti ad un uso cronico dell’adrenalina, innalzerebbe la soglia per l’emissione (assuefazione) e, nel lungo termine, collasserebbe.

Nell’essere umano il desiderio del brivido e della sensazione che le montagne russe danno lo stimola a superare la paura delle stesse. A fare un giro, forse due sull’attrazione. Poi, ad abituarsi a quella sensazione, perdendo quindi interesse, sentendosi sufficientemente appagato o spostandosi su un’altra attrazione, sconosciuta, del parco divertimenti. Ciò che nel seeker non scatta è il meccanismo di appagamento.

Quattro sono le caratteristiche principali del seeker:

– Un’intolleranza alla noia e alla prevedibilità della propria esistenza: tende ad annoiarsi facilmente e a sopportare con fatica di rimanere in una situazione uguale a se stessa. La staticità e la quotidianità vengono percepite come pericolose, mortifere.

– La continua ricerca di tensione ed avventura, di attività, anche rischiose, che facciano provare sensazioni forti e nuove.

– La continua ricerca di esperienze, sensoriali, mentali o anche sociali, nuove, diverse dal solito, anticonformiste.

– La disinibizione: il seeker prova sensazioni forti da attività “senza controllo”, come feste selvagge, abuso di alcol o sostanze, promiscuità sessuale, guida spericolata, modificazioni del corpo -come tatuaggi e piercing (per un approfondimento, si rimanda all’articolo “Il tatuaggio – Storie incise sulla pelle”)- fino ad arrivare all’autolesionismo, etc. 

Queste caratteristiche, per chi ha familiarità con la diagnostica psichiatrica (mi rifaccio alla più nota classificazione del DSM-IV TR), possono essere considerate affini a quelle dei disturbi di personalità del cluster B, il cluster definito “dramatic”, teatrale. Cluster in cui rientrano il disturbo borderline (per un approfondimento, si rimanda agli articoli “Disturbo boderline di personalità – L’arte del funambolismo” e “Organizzazione borderline di personalità – Alla ricerca di un legame d’amore”), narcisistico (per un approfondimento, si rimanda agli articoli “Vado al massimo – Il narcisismo ai nostri tempi” e “Il narcisismo – L’arresto della capacità di amare”), istrionico e antisociale (per un approfondimento, si rimanda all’articolo “La psicopatia – Se il disturbo non si vede”).

Possiamo dunque considerare ed etichettare come patologica questa condotta?

In psicologia clinica e in psichiatria un determinato tratto di personalità o modello comportamentale non è patologico di per sé, ma lo diventa a seconda dell’intensità e del modo in cui lo si esprime. Ogni patologia è una funzione “normale” che devia dal suo percorso fisiologico fino a diventare abnorme, anormale. Perciò il pilota che corre 300 km/h sulla pista o la controfigura che compie voli e tuffi spettacolari sono persone con tratti sicuramente da sensation seeker che però hanno scelto una via socialmente accettabile per soddisfare il loro bisogno. Riuscendo a sviluppare un comportamento adattivo a partire da un tratto potenzialmente disadattivo del temperamento.

È dunque la pericolosità delle situazioni in cui il sensation seeker può mettere se stesso o gli altri a rappresentare il disadattamento di questo bisogno.

Le sensazioni forti che ci fanno sentire vivi, sono forti proprio perché si manifestano in rare e specifiche occasioni. Cercare di riportare quel tipo di sensazioni nella vita quotidiana è un tentativo fallimentare perché nel ripetersi queste sensazioni estreme perdono la loro unicità, diventando loro stesse quotidianità, abitudine, quindi, per il seeker, noia. Per il seeker dunque sarà importante lavorare sulla tenuta nella quotidianità, sulla vita reale, forse meno ricca di scosse adrenaliniche, forse meno eccitante. Ma ricca di un altro tipo di emozioni e sensazioni, realistiche e reali.

Dott. Giulia Radi

Riceve su appuntamento a Perugia
(+39) 320 0185538

giulia.radi@hotmail.it

Per Approfondire:

APA (2000). Diagnostic and Statistical Manual for Mental Disorders – IV Edition. Text Revision (DSM-IV TR).

Gabbard, GO (2007). Psichiatria Psicodinamica. Raffaello Cortina Editore.

Zuckerman, M. (1979). Sensation Seeking. Beyond the Optimal Level of Arousal. Lawrence Erlbaum Associates.

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