Anoressia e “desiderio di godimento”
Dall’oggetto primario all’ “oggetto niente”, dal seno al digiuno

“Devo masticare in modo che possa avere un’idea del sapore. Ma non devo inghiottire NIENTE. Poi sputo tutto. Così resto me stessa, ma senza rinunciare al sapore”(dall’esperienza clinica di Massimo Recalcati – trattamento di una paziente anoressica che descrive il suo modo di nutrirsi). Il niente è oggi di moda. Non la moda filosofica del nichilismo ma quella patologica dei disturbi alimentari. Anoressia e bulimia assumono come loro specifico oggetto del desiderio il Niente. L’ anoressia mangia il niente. L’ oggetto del desiderio non è mancante ma da ritrovare in quanto usato in modo particolarmente improprio. Ecco perchè l’ anoressia può essere oggi intesa come nichilismo del desiderio.

Passione, se non addirittura fanatismo per il Niente. Non rifiuto o rinuncia. Quella anoressica é palesemente una scelta del mangiare niente. Grazie a Freud sappiamo che il cibo, oggetto orale per eccellenza, non rileva solo per l’aspetto nutritivo ma soprattutto per la dimensione di soddisfazione pulsionale. Attaccato al seno materno, il bimbo sperimenta un vero e proprio godimento, un piacere che va al di là del fisiologico e dei suoi bisogni primari.

L’ oggetto primario universale ed uguale per tutti, può, per alcuni, trasformarsi in un oggetto”niente”. É il caso di alcuni soggetti anoressici. Il pensiero di Recalcati ci consente di abbandonare l’idea dell’anoressia come malattia dell’appetito a favore di una visone inedita e paradossale della stessa come esperienza di godimento. Nella costruzione del sintomo anoressico si sviluppa una modalità di soddisfacimento molto particolare. Il soggetto anoressico gode.

Ma di cosa ? Del niente. Un niente non inteso come assenza dell’oggetto. L’oggetto del godimento sembrerebbe non esserci eppure c’ è e si alimenta appunto attraverso il rifiuto del cibo. Questo oggetto è il niente, un buco nello stomaco. Quanto più rifiuta il cibo, tanto più il soggetto gode. Un godimento più forte di quello della fame, non meramente pulsione ma diabolico e paradossale in quanto concomitante alla presenza di digiuno ed alimentato dal prolungamento anoressico dell’astinenza. E’ proprio lo svanimento dello stimolo della fame a generare una corrente di eccitazione. Si gode di più a stomaco vuoto che non con la pancia piena! Nel digiuno anoressico il corpo non è semplicemente cancellato ma gode dell’assenza dell’oggetto come se fosse la dimensione più piena dell’oggetto. È un godimento “del vuoto” , quasi innaturale è più pulsionale di quello della sazietà. Parallelamente a questo appagamento si realizza una manovra di separazione. Mangiare niente è infatti anche un tentativo di emancipazione, un modo per sbarrare l’ altro e per interromperne la dipendenza alienante. L’obiettivo è conquistare una posizione di supremazia, seppure immaginaria, gettando l’altro nell’impotenza. Circondata da un’offerta illimitata di oggetti di godimento, l’anoressica non sceglie di non godere ma sceglie di godere del niente. Ecco perché la scelta anoressica più che rinuncia è una scelta del niente. Un godimento che Recalcati ha definito del “vuoto”. Monadico e solipsistico perché si consuma in solitudine. Autistico in quanto non implica alcuno scambio simbolico. E’ un godere dell’uno senza l’altro. E non si tratta di autoerotismo. Quello dell’anoressica non é un godimento meramente autoconservativo né tantomeno autoerotico perché lo scopo, qui, non è il piacere sessuale. Un godimento che va al di là della mera dimensione del bisogno, dell’autoconservazione, del vitalismo istintuale ma anche e soprattutto, come direbbe Freud, “al di là del principio di piacere”non può che essere un godimento mortifero. Andare al di là del piacere e dell’autoconservazione può significare andare incontro all’attività della pulsione di morte e all’autodistruzione che da essa deriverebbe.

Lacan ha definito la”fame”anoressica come “appetito di morte” piuttosto che libidico. L’anoressica, infatti, non solo non rinuncia al suo godimento ma lo porta addirittura all’estremo; il desiderio di godere tende a godere oltre ogni limite, cosi l’esposizione ad un godimento illimitato, senza misura e senza freni, diventa una corsa all’autoannientamento. Se si gode del niente, la distruzione di sé diventa la prospettiva più vicina. Freud insegna che “l’Es in se stesso é pura pulsione di morte e come tale esprime una tendenza iperedonistica ed un godimento mescolato al Male, una tendenza acefala alla distruzione, all’insubordinazione radicale nei confronti di ogni vitalismo biologico. Recalcati ha teorizzato il “desiderio di godimento”, specificando che nell’esperienza anoressica ciò che manca è proprio il desiderio inteso come tensione dialettica verso l’alterità. L’anoressia é malattia del desiderio più che dell’appetito: un annichilamento nirvanico del desiderio. Il soggetto, privandosi del desiderio, diventa schiavo del godimento. Mentre il desiderio risulta mancare, il godimento c’ è ed è pieno. Si gode senza desiderare. Se nel processo anoressico il godimento viene anteposto a tutto, persino alla vita, e se esso si alimenta del rifiuto del cibo, del digiuno e dell’astinenza, la prospettiva di morte diventa non solo vicina ma anche inevitabile. Come restituire al soggetto il desiderio che gli é proprio ? Come arginare ed introdurre un limite alla ripetizione compulsiva del godimento senza strappare al paziente il suo sintomo? Come trovare un giusto “impasto”pulsionale ed un giusto equilibrio tra pulsione di vita e pulsione di morte, tra desiderio e godimento? É soltanto lasciando quesiti sempre aperti che possono profilarsi nuove possibilità terapeutiche.

Dott.ssa  Carolina Fiore

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Per Approfondire:

L’ultima cena: anoressia e bulimia. Massimo Recalcati

Ritratti del desiderio. Massimo Recalcati

I due “niente “dell’anoressia. Massimo Recalcati

La direzione della cura. J. Lacan

Film suggeriti: Maledimiele. Regista: Marco Pozzi

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