Il malessere invisibile. Quando il progetto migratorio fallisce

“Straniero drogato”

“Studentessa drogata e violentata da un immigrato”

“Immigrati, nuovi corrieri della droga”

Questi sono solo alcuni dei tanti commenti che leggiamo spesso sui giornali o che ci capita di sentire per strada, sull’autobus o al supermercato. Ma è davvero così? Che cosa implica la migrazione in termini di integrazione, accettazione o non accettazione?

Molte volte si tende ad associare allo straniero caratteristiche come quelle di essere un “drogato”, uno “spacciatore” e non solo.

Già negli anni ’90, Abdelmalek Sayad, sociologo e filosofo algerino ci invitava a fare un cambio di prospettiva: a vedere le migrazioni con gli occhi del migrante stesso e non dal punto di vista della società di accoglienza.

Prima di trarre qualsiasi tipo di conclusione è opportuno quindi fare un’analisi delle difficili condizioni in cui versano i migranti nel momento in cui approdano in una terra straniera.

Il migrante che arriva in Italia per trovare lavoro, è sempre una persona in buone condizioni. Prima di partire è come se nel paese di origine venisse fatta una selezione: partono tutte quelle persone che godono non solo di vantaggi da un punto di vista sociale, familiare e scolastico/professionale, ma anche di buone condizioni di salute: le persone sane, sane perché forti, giovani, con spirito di iniziativa e stabilità psicologica. Queste persone vedono nell’integrità fisica la condizione necessaria per la riuscita del progetto migratorio, in quanto puntano all’inserimento in quegli ambiti lavorativi rischiosi e faticosi dai quali gli italiani si allontanano. Anzi il sistema statistico sanitario attesta che la richiesta di cura da parte delle persone straniere viene fatta in un periodo molto lontano dall’arrivo in Italia (il cd. intervallo di benessere), dimostrazione questa che il patrimonio di salute si disintegra quando soggiornano in Italia.

Tale fenomeno prende il nome di “effetto migrante sano”. Quest’ultimo tende ad avere minore importanza per quelle persone che sono costrette a scappare dalle gravi situazioni politiche, di guerra e di persecuzione e, tra l’altro, negli ultimi anni le cose stanno cambiando anche per chi sceglie volontariamente di intraprendere il progetto migratorio: se qualche anno fa gli stranieri arrivavano sani e tali restavano, oggi arrivano sani ma la loro salute è presto soggetta a modificarsi rapidamente. Il tutto come conseguenza delle pessime condizioni in cui si trovano a vivere nel paese ospite, quindi per l’esposizione a tutta una serie di fattori di rischio: il malessere psicologico legato alla condizione di immigrato, il degrado abitativo (sovraffollamento, scarsa igiene), mancanza di un supporto familiare, disoccupazione o sottoccupazione in lavori rischiosi e non tutelati, malnutrizione, abitudini alimentari diverse e difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari e sociali. Sicuramente uno dei fattori più determinanti per il malessere dello straniero è quello riguardante il distacco familiare. Ecco perché, generalmente, persone provenienti dalla stessa nazione si riuniscono formando gruppi solidali, in tal modo cercano di ricostruire quel riferimento che hanno perduto. Non si può non citare lo sradicamento culturale e, dunque, la diversità linguistica, di costumi e di valori, che comporta difficoltà sul piano comunicativo e difficoltà di inserimento sociale.

Tutti questi fattori possono determinare il fallimento del progetto migratorio e tale fallimento porta molte di queste persone a fare i conti con il disagio psichico. Certo, sono fattori che accomunano tutte le persone socialmente deboli, indipendentemente dalla loro nazionalità, ma gli stranieri sono aggravati dalla mancanza di condivisione della cultura.

In tal modo si incorre in quello che viene chiamato “effetto migrante esausto”.

Non sempre, però, i migranti si rivolgono ai servizi sanitari, non dimentichiamo infatti che sono tanti gli stranieri irregolari e/o clandestini che non chiedono aiuto per paura di essere segnalati, perché non sanno che, in base all’art. 32 della Costituzione Italiana, l’assistenza sanitaria è garantita a tutte le persone presenti sul territorio nazionale ed esiste un divieto di segnalazione da parte degli operatori sanitari.

In questa condizione di precarietà, soprattutto quando la mancanza di occupazione si protrae oltre un certo limite, è molto probabile che gli stranieri accedono ad attività illegali, alcune delle quali connesse anche alla salute, come ad esempio la prostituzione. In tal modo al mito del successo viene a contrapporsi la necessità di arrivare a fine giornata, il che può comportare un’attrazione verso il guadagno facile e inserire l’immigrato nel mondo della devianza, in modo particolare nel microcosmo dello spaccio di sostanze stupefacenti e condurlo all’uso delle stesse per alleviare il senso di malessere.

E allora assistiamo all’esposizione di queste persone ad un grande fattore di rischio: la dipendenza da sostanze.

Inizia la carriera del deviante: i primi procedimenti penali, gli arresti, la vergogna per la famiglia di origine e di conseguenza l’allontanamento da questa.

Si diventa sempre più senza un’identità in una terra straniera e le illusioni dell’emigrato si trasformano nelle sofferenze dell’immigrato; assistiamo ad una “doppia assenza”, si è assenti dal paese di origini, ma lo si è anche nel paese di accoglienza, come suggerisce Sayad.

Solo voy con mi pena
Vado da solo con la mia disgrazia
Sola va mi condena
Da sola va la mia condanna
Correr es mi destino
Correre è il mio destino
Para burlar la ley
Per burlare la legge […]
Soy una raya en el mar
Sono una striscia nel mare
Fantasma en la ciudad
fantasma nella città
Mi vida va prohibida
La mia vita è vietata
Dice la autoridad
dice la giustizia […]

Spesso la musica ci aiuta a capire meglio questi concetti e ad entrare in sintonia con le persone che vivono tali situazioni. A tal proposito è doveroso citare l’artista Manu Chao, uno dei cantautori sicuramente più impegnati nella difesa dei diritti della “gente di frontiera”. Nelle sue canzoni parla spesso delle migrazioni, di chi è alla ricerca disperata di un lavoro e che spesso si trova costretto ad aggirare le leggi perché senza documenti.    

Me dicen el desagradecido
Mi dicono l’ingrato
Pero esa no es la verdad
Però non è la verità
Yo llevo en el cuerpo un dolor
Io porto in corpo un dolore
Que no me deja respirar
Che non mi lascia respirare […]
Llevo en el alma un camino
Porto un cammino nell’anima
Destinado a nunca llegar
Destinato a non arrivare mai […]

Per approfondire:

Sayad, A. (2002) La Doppia Assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato. Raffaello Cortina Editore

Centro Studi Emigrazione Roma. Migrazione, salute, cultura, diritti. Un lessico per capire a cura di Salvatore Geraci, Bianca Maisano, Marco Mazzetti. Caritas diocesana di Roma, Area sanitaria

Manu Chao. Clandestino

Manu Chao. Desaparecido
 

Dott.ssa Lucia Sarandrea

Assistente Sociale Roma

lucia.sarandrea@hotmail.it

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