Shock and Awe
L’arte della guerra nelle relazioni

Foto di Raqqa in Siria, copyright Amnesty International

Probabilmente ognunә di noi ha un ricordo scolastico legato all’efficace strategia che ha portato gli antichi romani a divenire così potenti in così breve tempo. “Divide et impera”, che letteralmente significa “dividi e conquista”, è una strategia di dominio che suggerisce come la divisione, la rivalità, la discordia dei popoli soggetti giova a chi vuol dominarli. Se guardiamo al nostro panorama politico, ad alcuni contesti lavorativi particolarmente competitivi e piramidali vedremo come l’antica strategia è ancora molto in voga: indurre diffidenza e paranoia in un gruppo di pari (la “guerra dei poveri”) garantisce il potere alla persona o alle persone che si trovano ai vertici.

Utilizzare le strategie di guerra (e di dominazione) in contesti non bellicosi è un fenomeno estremamente diffuso. Basti pensare come il testo “L’arte della guerra” del generale dell’esercito cinese Sun Tzu rappresenti un pilastro negli studi del marketing.

Sebbene siamo consapevoli che la metafora della guerra nella vita quotidiana possa risultare dannosa (basti pensare al Covid come nemico da debellare, i bollettini quotidiani, il personale sanitario definito eroico, la misura del coprifuoco, lo slogan “ce la faremo” etc.), ci sono alcuni contesti in cui questa metafora è calzante, come ad esempio nell’ambito di una relazione abusante.

In una relazione abusante non vi è conflitto (che vede le due persone sullo stesso piano, con lo stesso potere), bensì uno sbilanciamento di potere: una parte può permettersi certi atteggiamenti e comportamenti, mentre l’altra parte non può perché subirebbe ripercussioni che teme, dunque subisce senza reagire.

Le relazioni di abuso possono esistere in ogni tipo di relazioni di coppia: etero-, omo-, e da un genere verso l’altro e viceversa. Le statistiche però ci suggeriscono che le relazioni di abuso più diffuse sono quelle dove la violenza di genere si manifesta nell’abuso del maschile sul femminile (fenomeno che riguarda una donna su tre in Italia; per un approfondimento si rimanda all’articolo: “La condizione della donna – Una violenta quotidianità”).

La prima a paragonare il vissuto delle donne vittime di violenza a quello dei veterani di guerra è stata Judith Herman, psicoanalista americana che ha avuto una lunga esperienza con entrambe le categorie e ha rilevato una certa affinità nelle conseguenze sulle vittime (o sopravvissute, come la Herman –e anche io- preferisce definirle) di queste due categorie (per un approfondimento si rimanda all’articolo “Guarire dal trauma – Di fantasia e disciplina”).

Una sensazione comune ai veterani di guerra e alle donne vittime di violenza è quella di non sentirsi completamente in sé, al timone della propria vita, bensì sentirsi come portatә da una sorta di “pilota automatico” (depersonalizzazione). Il ricordo del tempo in guerra o nella relazione abusante è un ricordo percepito dal punto di vista di un testimone, qualcunә che guardava da fuori gli accadimenti. La sensazione è quella di una mancanza di agency, definita come la capacità di agire intenzionalmente nel contesto in cui operiamo per generare un cambiamento. In questo contesto può collegarsi a una sensazione di impotenza nei confronti della propria vita.

Questo effetto è conseguenza di una ben definita strategia di guerra: quella dello “Shock and Awe”. Letteralmente “colpisci e terrorizza” e conosciuta anche come “dominio rapido”, è una tattica militare basata sull’uso di una potenza travolgente, manovre dominanti, ostentazioni spettacolari di forza per paralizzare la percezione del campo di battaglia da parte dei nemici e distruggerne la voglia di combattere. In sostanza, si stordisce il nemico attaccandolo in modi e tempi non previsti, con aggressività, continuamente, e con una gamma di strategie differenziate, così da obbligarlo a difendersi improvvisando, senza poter programmare una strategia di difesa né tantomeno di attacco.

Nell’esperienza delle donne sopravvissute alla violenza è presente la medesima sensazione di stordimento. L’uomo stordisce la donna con continue richieste emergenziale e messaggi ambivalenti (per un approfondimento, si rimanda all’articolo: “L’ambivalenza nelle relazioni – Amare la rosa, odiare le spine”), con ritmo serrato e senza soluzione di continuità, che rendono non solo impossibile elaborare una strategia di risposta, ma addirittura pensare. La donna in questo caso si sentirà trascinata in un vortice che non può controllare ma soltanto cercare di arginare goffamente e senza una strategia pensata. La sensazione nel corso del tempo è quella di allontanarsi da se stessa, che è esattamente lo scopo di una guerra e di una relazione abusante: l’espropriazione dell’altrә. Quando la donna non è centrata, è assolutamente vulnerabile, proprio come un nemico in ostaggio.

È fondamentale conoscere queste dinamiche relazionali perché prima di poter giudicare una donna sopravvissuta alla violenza ritenendola inabile rispetto a tutta una serie di competenze (l’esempio più comune: la competenza genitoriale), è necessario offrirle uno spazio in cui non doversi difendere, ascoltarsi, per riconnettersi con se stessa e riappropriarsi di quel sé espropriato, che sotto gli strati del trauma vive ancora.

Dott.a Giulia Radi

Ph.D. Psicologa e Psicoterapeuta a Perugia e Roma

(+39) 3495887485

giulia.radi@hotmail.it

Per Approfondire:

Bandura A. (1997) “Self-efficacy”

Herman J. (2005) “Guarire dal trauma”

Sun Tzu “L’arte della guerra”

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