Disturbo da deficit di attenzione e iperattività
Vivere nel corpo di un altro

Luca è un bambino che frequenta il secondo anno delle scuole medie del suo quartiere. Ha sempre avuto problemi nell’apprendimento e nell’affrontare le principali tappe dello sviluppo. Poco dopo il suono della campanella che segna l’inizio delle lezioni, Luca sembra mostrare strani comportamenti, non riesce a stare seduto sulla sedia, ha bisogno di alzarsi, di muoversi, non riesce a non parlare e involontariamente disturba il normale svolgimento delle lezioni. Didatticamente parlando ha delle carenze, ha difficoltà nell’apprendere concetti anche semplici e, ultimamente, sembra rifiutare qualsiasi aiuto esterno. La sua autostima peggiora ogni giorno di più. Quando i compagni o l’insegnante si rivolgono a lui sembra non ascoltare e in questo modo anche le relazioni sociali diventano difficili da gestire perché sembra non avere gli strumenti adeguati. I compiti a casa vengono affrontati con fatica e solo raramente riesce a portare a termine tutto ciò che è stato assegnato dall’insegnante.

I professori hanno notato un ulteriore comportamento bizzarro…anche quando non viene interpellato Luca parla senza sosta, ripete sempre le stesse frasi, sembra quasi che parli tanto per parlare e quando deve mostrare le sue emozioni sembra farlo senza nessuna inibizione.

Tutti questi sintomi preoccupano molto le docenti tanto da richiedere un incontro con i suoi genitori per discutere della situazione. Questi ultimi, al termine di tale incontro, sembrano convinti di sottoporre il proprio bambino ad una valutazione.

A Luca è stata diagnosticata la Sindrome da deficit di attenzione e iperattività (altrimenti detta ADHD). Tale sindrome, molto complessa, vede coinvolti diversi

disturbi e nella maggior parte dei casi c’è una comorbilità che rende la situazione difficile da affrontare e gestire. Spesso è associata a disturbi del comportamento e dell’apprendimento come ad esempio la dislessia o la discalculia; inoltre è possibile, come nel caso di Luca, trovare associati anche disturbi di ansia, e nei casi più gravi anche disturbi della condotta e problemi relazionali.

Non è raro che la diagnosi venga fatta tardivamente rispetto alla reale comparsa dei sintomi, quando ormai l’autostima è compromessa e quindi la terapia è ancora più difficile da attuare. In alcuni casi invece i sintomi vengono scambiati per maleducazione, la diagnosi perciò non può essere fatta e l’unica forma di “terapia” messa in atto è il rimprovero; così la persona affronterà con maggiore difficoltà quelli che sono i normali compiti e le situazioni che la vita gli presenta e alcune volte sarà costretta a fare scelte “condizionate”. Come nel caso di Asia, una simpatica donna di mezza età che non riesce a stare ferma: ogni volta che le viene chiesto di svolgere un compito anche semplicissimo, entra in ansia e dice di non essere in grado. Ha finito le scuole superiori con enormi difficoltà e più volte è stata rimandata a settembre, tuttavia ancora oggi confonde la B con la P quando legge e scrive. Proprio per questo ha deciso di lavorare in una ditta delle pulizie, in modo da arrivare a fine giornata fisicamente stanca e soprattutto per evitare la possibilità che le venga richiesto di scrivere o leggere qualcosa, o peggio ancora, di starsene seduta su una sedia durante le ore di lavoro.

L’ADHD è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo e non una normale fase di crescita che il bambino è costretto a vivere e superare, né tantomeno ha niente a che vedere con l’educazione che proviene dalla famiglia. Il rischio, però, è proprio quello di additare questi bambini come maleducati, ribelli o cattivi e di conseguenza l’accettazione è difficile così come lo è riuscire ad instaurare un rapporto di fiducia con le famiglie d’origine, perché viste come le principali responsabili di tutto.

Come abbiamo visto precedentemente esso include difficoltà di attenzione, concentrazione, apprendimento ed è compromesso anche il controllo degli impulsi. Il bambino sembra che non sia in grado di regolare le proprie risposte comportamentali associate alle varie situazioni. La concezione del tempo, gli obiettivi e le richieste dell’ambiente circostante sono i principali “nemici” per questi bambini, costretti a vivere in un corpo che non rispetta quelle che sono le normali regole sociali. Questo disturbo genera stress sia nel bambino che nella famiglia che è portata a gestire il tutto con un enorme senso di impotenza e preoccupazione. Inevitabilmente questi bambini vivono una vita di insuccessi e fallimenti che potrebbero generare tratti oppositivi e provocatori, che alla lunga porteranno a far uso o abuso di sostanze psicoattive ed alcol, o che li condurranno verso altri comportamenti devianti.

I genitori di questi bambini, preoccupati per il decorso della malattia, spesso si chiedono se sia possibile guarire. E’ possibile trovare delle strategie per far fronte ai numerosi disagi ai quali queste persone vanno incontro: le terapie messe in atto dagli esperti sicuramente offrono un valido sostegno. E’ anche vero però che bisognerebbe attuare congiuntamente una psico-educazione che veda coinvolte tutte le persone che circondano il bambino, così da prevenire eventuali fonti di frustrazione. Il rischio infatti è proprio quello di far vivere Luca, così come tanti altri bambini, in uno stato di isolamento, in cui ognuno diventa nemico di sé stesso. Conoscere se stessi anche con i propri limiti e le proprie difficoltà è quindi fondamentale per un possibile miglioramento, per uscire dalla solitudine e per non essere risucchiati dal vortice silenzioso della patologia.

Dott.ssa Serena Bernabè

Riceve su appuntamento a Roma
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Per Approfondire:

Fedeli D., Disturbo da deficit di attenzione ed iperattività, Carocci Faber, 2012

Crispiani P., Capparucci M.L., Giaconi C., Lavorare con il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Dalla diagnosi al trattamento educativo, Junior, 2006

Crispiani P., Giaconi C., La sindrome di Jack. Smarrimento cognitivo sequenziale ovvero “i bambini che si perdono nelle sequenze”, Junior, 2009

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