Eternal Sunshine. Lo stesso errore

-Aspetta!
-Che c’è?
-Non lo so!
-Che cosa vuoi?!
-Aspetta! Aspetta! Voglio soltanto che aspetti ..un po’.
-..Va bene.
-Davvero?
-Io non sono sono un’idea, Joel, ma una ragazza incasinata che cerca la sua pace mentale, non sono perfetta.
-Non riesco a vedere niente che non mi piaccia in te, ora non ci riesco.
-Ma lo vedrai, ma lo vedrai! certo col tempo lo vedrai, e io invece mi annoierò con te, mi sentirò in trappola perché è cosi che mi succede!
-Okay.
-Okay? …Okay?
-Okay.

Lo avete riconosciuto? È il dialogo finale tra Joel e Clementine nel film Eternal Sunshine of the spotless mind (Se mi lasci ti cancello). I due, dopo essersi amati, provano a fermarsi per capire quale sia l’errore che continuano a commettere e se valga la pena provarci ancora.

A tutti è capitato di provare, almeno una volta nella vita, quella strana e fastidiosa sensazione di commettere sempre lo stesso errore. Specialmente in ambito relazionale. Quante volte ci siamo trovati all’inizio di una nuova storia felici di aver scelto un partner con caratteristiche differenti dal precedente, pensando finalmente di poter avere una relazione appagante perché siamo riusciti a scegliere diversamente? Quanto volte, invece, ci siamo trovati nelle stesse situazioni, con gli stessi problemi e le stesse inevitabili conclusioni? Come in una sorta di Deja vu delle emozioni.

In genere, quando questo avviene, vuol dire che forse siamo noi a reiterare e riproporre gli stessi schemi di comportamento, sui quali dovremmo farci qualche domanda.

Perché lo facciamo?

Quando entriamo in contatto con un’altra persona portiamo con noi un bagaglio composto dai nostri bisogni, desideri e aspettative. A questi si aggiungono pensieri e comportamenti che tendiamo a ritenere più giusti rispetto a quelli degli altri. Ovviamente la cosa è reciproca, cioè incontreremo persone con lo stesso bagaglio ma con contenuti differenti.

Alcuni di questi bisogni, desideri e comportamenti sono visibili alla nostra coscienza e di conseguenza ne siamo consapevoli, altri, invece, funzionano diversamente. Alcuni degli elementi elencati in precedenza, infatti, agiscono a livello più inconscio, nelle zone d’ombra della nostra consapevolezza, sfuggendo dunque alla nostra attenzione ma influenzando ugualmente la relazione che stiamo costruendo. In poche parole, quando iniziamo una storia con una persona è come se entrambi aprissimo un vaso di Pandora caratterizzato in parte da elementi a noi noti e in parte da cose che ci appartengono, ma delle quali non siamo pienamente a conoscenza (per un maggiore approfondimento leggere Il fallimento dell’amore romantico – sui modelli relazionali).

Questo avviene perché nell’incontro con l’altro non ci comportiamo soltanto per come stiamo in quel preciso momento, il nostro atteggiamento è la conseguenza di tutte le nostre esperienze, del nostro passato, di tutte le altre relazioni che abbiamo avuto. La nostra personalità e il nostro modo di pensare derivano da come siamo abituati a costruire l’esperienza, dalla nostra infanzia, dal rapporto con i nostri genitori, dai contesti con cui ci siamo relazionati, dalle persone che abbiamo incontrato e da come abbiamo imparato determinate lezioni. Davanti a tutta questa trama, che nella realtà è ancora più complessa, può capitare che qualche bisogno o desiderio sfugga alla nostra attenzione, è normale. Il problema è che tutti questi elementi inconsapevoli, accumulandosi, possono generare in noi dei veri e propri schemi comportamentali che ci ritroveremo ad applicare, nostro malgrado, ad ogni situazione relazionale, a prescindere da chi abbiamo davanti, precludendoci, dunque, la possibilità di farci realmente conoscere e di conoscere realmente l’altro.

Quali sono le conseguenze?

La conseguenza diretta è quella di restare fermi, impedendo a  noi stessi di crescere e migliorarci. Reiterare gli stessi schemi comportamentali può portare a una sorta di empasse nel quale si affrontano sempre i soliti problemi e nulla sembra cambiare, oltre ad influenzare notevolmente il comportamento dell’altro. Per fare un esempio, pensiamo a una persona abituata a essere sempre diffidente. A lungo andare genererà diffidenza anche nel partner che, prima o poi, attuerà un comportamento che non farà altro che confermare la diffidenza iniziale, il classico “Ah, lo sapevo che eri così”. Una tipica reazione di chi attua sempre gli stessi schemi, infatti, è quella di attribuire le colpe all’esterno, cercando una giustificazione ai propri comportamenti. La conseguenza di questo può essere quella di cambiare spesso amicizie quando non vanno o partner relazionali ogni qual volta non si riescano a risolvere determinati problemi.

Questa, lo ammetto, può essere una soluzione seducente in quanto ci deresponsabilizza e, provvisoriamente, può anche illuderci che stiamo risolvendo il problema. Cosa stiamo rischiando, però, realmente? La fossilizzazione su noi stessi. Più che rischiare di perderci, rischiamo di non trovarci mai veramente. Rischiamo di diventare superficiali, liquidando tutto con un “sono fatto così”. Può anche funzionare per un po’, ma dietro l’angolo c’è il pericolo di trascorrere il nostro tempo in frustrazioni taciute, a pensare a cosa ci manca e a cosa non ci fa stare bene, piuttosto che viverci pienamente quello che siamo e quello che potremmo avere.

Che fare?

Se ci rendiamo conto di commettere sempre gli stessi errori, di ricercare gli stessi sbagli, di affrontare le stesse problematiche e mettere in atto gli stessi comportamenti, dovremmo pensare a una cosa: chi è il minimo comune denominatore di tutto questo? La risposta è molto semplice: noi stessi. Questa è una buona notizia perché se è vero che non abbiamo il potere di cambiare i comportamenti degli altri, è vero che su di noi possiamo lavorarci.

La prima cosa da fare, quando ci troviamo in queste situazioni, è quella di fermarci, come i protagonisti nel finale del film, e prenderci del tempo spostando il focus su di noi, evitando di cadere nella tentazione di dare la colpa all’altra persona (che non è un’idea e non è perfetta). Potremmo porci domande del tipo: che bisogno ho in questo momento? Perché sto reagendo in questo modo? Cosa mi serve realmente? Vien da sé che a questo domande dovremmo rispondere nel modo più sincero possibile, anche a costo di risultare impopolari con noi stessi. Proviamo a non spaventarci.

Un altro esercizio utile può essere quello di trovare analogie con le nostre passate esperienze: quando mi sono ritrovato già in questa situazione? Come ho reagito? C’erano delle differenze? I bisogni erano diversi? Questo modo di pensare ci abitua a essere un più attenti ai nostri comportamenti, oltre a creare delle vere e proprie mappe della nostra vita  dalle quali attingere informazioni utili. Una volta capito perché in alcune situazioni ci comportiamo sempre nello stesso modo potremmo provare a modificare, anche leggermente e con calma, le nostre reazioni.

Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore” – Bertolt Brecht –

Dott. Luca Notarianni

Riceve su appuntamento a  Roma

cell. 3804739760

email: luca.notarianni@alice.it

Per Approfondire:

  • Jung K.G. “L’importanza del padre nel destino dell’individuo” (1909-1949), trad. Boringhieri 1998
  • Eliade M. (1949) “Il mito dell’eterno ritorno”, trad. Jaka Book 1998
  • Eternal sunshine of the spotless mind, film di Michel Gondry, 2004.

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