Genesi di un comportamento antisociale. Relazioni di causa ed effetto

“L’assassino” di Edvard Munch

Le questioni della devianza, della violenza e del comportamento che non rispetta le norme sociali condivise sono sempre state argomento di interesse per la medicina e la psicologia. Gli antichi Romani definivano il furor come una forma di follia che portava le persone a commettere reati e ad agire non rispettando le leggi dello stato e i diritti altrui. Lo stesso Ippocrate ipotizzò una base umorale per i processi mentali, per cui uno squilibrio di componenti fisiologiche avrebbe spiegato le diverse manifestazioni, che potevano assumere vesti melanconiche, colleriche, flemmatiche. L’importanza di queste intuizioni risiedeva nell’attribuire per la prima volta a questi comportamenti un malessere mentale slegandoli da interpretazioni unicamente religiose di possessione demoniaca.

In psicologia viene utilizzato il termine “disturbo antisociale di personalità” per indicare una sindrome la cui caratteristica principale risiede nell’inosservanza e violazione delle norme sociali e dei diritti degli altri: il modo di rapportarsi con il prossimo è superficiale e caratterizzato dalla mancanza di rispetto per i sentimenti e le preoccupazioni altrui. Questo avviene perché i sentimenti e le emozioni vengono vissuti in relazione a se stessi, non agli altri. L’antisociale non conosce il rimorso, perciò le sue azioni, che possono essere dettate da rabbia, noia, disprezzo o semplicemente soddisfazione di un proprio bisogno, sono segnate da comportamenti aggressivi che implicano anche gravi atti di violenza. Un aspetto scioccante di questo disturbo è che può essere mascherato: l’antisociale può benissimo condurre due vite parallele (per un approfondimento si rimanda all’articolo “La psicopatia-se il disturbo non si vede” della rivista nel mese di aprile 2015).

Per una diagnosi di disturbo antisociale di personalità è necessario che il soggetto abbia compiuto i 18 anni di età, anche se, spesso i sintomi e i comportamenti tipici di questa personalità patologica si manifestano molto prima. L’infanzia, infatti, può essere caratterizzata da piccoli furti, menzogne, frequenti scontri con chi rappresenta l’autorità ed iperattività. L’adolescenza viene segnata nella maggior parte dei casi da episodi di abuso di alcool, droghe e aggressività nei confronti di persone o animali. Fino ad arrivare all’età adulta, in cui il soggetto è incapace di assumersi responsabilità e di mantenere relazioni affettive in maniera stabile.

Ora facciamo un passo indietro, chiedendoci quali possano essere le cause, o meglio, i fattori di rischio in grado di condurre l’individuo a sviluppare, in età adulta, un comportamento antisociale. Nell’immaginario collettivo, vengono considerati fattori di rischio di un comportamento violento, la presenza di un disturbo della condotta in età infantile, o un padre alcolista e violento.  Sicuramente queste condizioni comportano per il bambino un alto rischio di manifestare, nel corso dello sviluppo, problemi psicopatologici. Sapere che una determinata situazione agisca come fattore di rischio non vuol dire, però, che essa sia la sola causa scatenante lo sviluppo di quel comportamento. Infatti, grazie a diversi studi effettuati nelle carceri, basati su campioni di detenuti dal comportamento particolarmente violento, sono emersi diversi fattori comuni nella storia di questi individui. Il primo ambito, e forse quello più studiato, è il potere predittivo di alcune componenti temperamentali: i bambini che già a sei mesi mostrano un temperamento difficile, tempestoso, marcatamente resistente al controllo, possono sviluppare sintomi di un disturbo della condotta a tre e cinque anni. Il secondo ambito comprende il contesto familiare; alcuni studi condotti su un campione di genitori naturali e adottivi di bambini della stessa età ha evidenziato come la presenza di un disturbo psichiatrico nella madre o nel padre possa condurre allo sviluppo di condotte antisociali in adolescenza e in età adulta, siano essi figli naturali o meno.

Dal film “Natural born killers-Assassini nati” di Oliver Stone

Conflitti genitoriali, presenza di una madre single e sotto i vent’anni di età, una disciplina troppo rigida o eccessivamente permissiva, una scarsa supervisione genitoriale sul comportamento dei figli e il rifiuto o l’incapacità di esprimere affetto, con le conseguenti difficoltà nella costituzione di solidi legami di attaccamento, sono ulteriori elementi di rischio per la vulnerabilità all’antisocialità. Infine c’è da prendere in considerazione anche il contesto socioculturale di nascita: il tasso di violenza all’interno di una comunità residenziale o di un quartiere, così come di un contesto scolastico, può promuovere comportamenti aggressivi.

Per concludere è utile sottolineare che sebbene questi, e molti altri fattori di rischio possano favorire lo sviluppo di un comportamento antisociale o violento, non ne rappresentano affatto una certezza. Come ha affermato David Heber, “I geni caricano la pistola, ma l’ambiente preme il grilletto.”

Dott. Andrea Rossetti

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andrearossetti217@gmail.com

Per approfondire:

 

American Psychiatric Association (2013) Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Five Edition: DSM-V. American Psychiatric Pub. (Tr. It. Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali: DSM-V. Milano: Raffaello cortina ed.)

Dazzi, S., Madeddu, F. (2009) Devianza e antisocialità. Milano: Raffaello Cortina Ed.

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