I corsi di accompagnamento alla nascita. Diventare genitori insieme

Gustav Klimt. Hope, II. 1907-08 | MoMA

I corsi di accompagnamento alla nascita sono una fondamentale occasione di apprendimento, esperienza e conoscenza reciproca, per le mamme dalla ventiseiesima settimana in poi. Queste importanti esperienze si articolano, generalmente, in percorsi che prevedono un incontro settimanale, per una durata complessiva di 10/12 incontri a seconda delle figure che intervengono. In ambito pubblico, in ospedale o in Consultorio, i corsi sono organizzati e coordinati dalle ostetriche, e prevedono l’intento di ginecologi, pediatri, assistenti sociali, nutrizionisti e psicologici.

L’intervento psicologico all’interno dei CAN, in base a quanto indicato dal Piano sanitario regionale 2010 – 2012, e alle Linee di indirizzo regionali per le attività dei Consultori Familiari, allegato 1, al Decreto n°u00152/2011, ha come obiettivo fornire alla coppia la possibilità di operare una scelta consapevole riguardo le modalità di assistenza al parto, il ruolo genitoriale, l’assistenza post-parto e la promozione dell’allattamento al seno. 

Di cosa si occupa lo psicologo?

All’interno dei CAN lo psicologo si occupa di fornire informazioni riguardo le fasi della gravidanza. I vissuti interni delle future mamme cambiano molto nel passaggio dal primo al secondo trimestre, e dal secondo al terzo. (Per approfondire “La maternità – Un viaggio alla scoperta del Sè” della Dott.ssa Bernabé)

 Inizialmente il feto viene percepito come “bollicine nella pancia” e non c’è, spesso, una concreta consapevolezza della sua presenza nel corpo della madre. Con il passare del tempo e il procedere dei mutamenti del corpo materno, anche la contezza della crescita del feto si fa spazio nel corpo e nella mente materna. Non solo il corpo cambia, anche la mente, per accogliere il bambino che nascerà dopo nove mesi. La mente e il cervello della madre vanno incontro a modificazioni ormonali e strutturali che la metteranno in condizione di sintonizzarsi completamente sul nascituro e fungere da suo interprete. Winnicott concettualizzó questa condizione con il termine “preoccupazione materna primaria”, sviluppata a poco a poco durante la gravidanza e presente per circa due settimane dopo la nascita del bebè, conferisce alla madre la capacità di immedesimarsi nel suo bambino e di rispondere ai suoi bisogni.

Nel terzo trimestre la presenza del feto è sempre più concreta, la madre sente i movimenti del corpo del bambino, gli parla, e si prepara a passare dal bambino immaginario, quello su cui lei e il futuro padre proiettano desideri, bisogni e spesso frustrazioni, al bambino reale, con caratteristiche fisiche e temperamentali proprie.

La preoccupazione per l’evento del parto prende prepotentemente la scena. Per questo è fondamentale prepararsi grazie al lavoro fatto con le ostetriche attraverso la respirazione, la visualizzazione e l’allenamento del pavimento pelvico. Spesso all’interno delle coppie i padri si dividono tra coloro che saranno presenti al parto, e padri che non desiderano esserci, o le cui compagne non gradiscono la loro presenza in quel momento. Nei corsi CAN viene data l’importante occasione di esplicitare desideri e timori al riguardo, confrontandosi con il gruppo composto dalle coppie che stanno condividendo la stessa esperienza.

Parlare delle emozioni

L’aspetto più importante dell’intervento psicologico all’interno dei CAN è la possibilità di conoscere quali emozioni possono essere sollecitate dalla gravidanza e dal parto, senza essere stigmatizzate per questo. Spesso le donne in gravidanza sentono di non poter esprimere timori e angosce, per paura di essere giudicate inadeguate. Sentimenti di tristezza e ambivalenza sono molto comuni in gravidanza. La simbiosi madre-feto è un’esperienza unica e è imparagonabile, che spesso può condurre a un turbamento emotivo, alla sensazione di perdere la propria individualità e al timore di non essere in grado di occuparsi adeguatamente del bambino.

Il parto determina il passaggio del bambino dall’interno all’esterno e questo può comportare difficoltà nella separazione dal bambino, ancora di più se il bambino viene vissuto come parte di sé ed è oggetto di investimento narcisistico. Le madri al termine della gravidanza possono sperimentare tre tipologie di perdita:

1. perdita della gravidanza: quando la gravidanza viene vissuta come uno stato di completezza, e potenza, che consente di essere oggetto di amore e cure, in questo caso partorire può essere vissuto come una deprivazione;

2. perdita del bambino interno come unione simbiotica. Il bambino nel momento in cui è nella pancia della mamma è sotto controllo, con il parto il bambino diventerà un individuo separato;

3. perdita del bambino fantastico a favore del bambino reale.

Le paure e le fantasie della gravidanza non scompaiono immediatamente dopo il parto, spesso ci si continua a preoccupare per parecchio tempo dopo la nascita, malgrado un bambino sano offra rassicurazioni. Il compito che resta è la creazione di un rapporto con il bambino reale che può essere fonte di angoscia e spaventare molte neo mamme determinando uno stato di ansia, spossatezza, instabilità, difficoltà nel sonno e nell’alimentazione, episodi di pianto apparentemente senza ragione, sentimenti di inadeguatezza, difficoltà a prendere decisioni.

Questi sintomi presenti in forma lieve vengono solitamente definiti “baby blues o maternity blues” e interessano la maggior parte delle donne. Insorgono solita- mente nella prima settimana dopo il parto e si risolvono nel giro di pochi giorni. In alcuni casi invece le difficoltà e l’angoscia possono portare alla depressione. Essa può insorgere dopo pochi giorni o alcuni mesi dal parto, i sintomi sono quelli descritti, ma l’intensità è maggiore, si può presentare indipendentemente dal nu- mero dei figli già avuti e a qualsiasi età della donna.

Spesso parte dello smarrimento iniziale vissuto in particolare dalla mamma va attribuita alla necessità di instaurare e creare la relazione con il bambino, che è ancora uno sconosciuto in questo momento.

Alla nascita i bambini nati a termine sono dotati di un repertorio di riflessi che permette loro le prime esperienze. Parallelamente alla domanda di cibo e di calore il neonato esprime una richiesta di attaccamento alla mamma. Dopo il parto il bambino va abbracciato, coccolato, allattato. Per il neonato la madre non è un oggetto distinto da sé, vive ancora la prosecuzione del rapporto intrauterino con la mamma, non distinta da sé. Si parla infatti di esogestazione, ovvero la gestazione prosegue al di fuori del corpo materno.

Questo primo rapporto madre figlio si chiama SIMBIOSI, significa che due individui si comportano come se fossero una sola persona. È questa una fase necessaria della prima infanzia perché il bambino dipende totalmente dalla figura materna per il soddisfacimento dei suoi bisogni, ma deve essere temporanea perché il processo di sviluppo deve promuovere l’autonomia del bambino.

Si passa gradualmente quindi, tra la nascita e l’ottavo mese, da una simbiosi to- tale che appare quasi una prosecuzione del rapporto intrauterino, all’inizio della separazione. Il bambino incomincia a comprendere di poter esistere e di poter esprimere i propri bisogni perché le persone attorno a lui sono in grado di coglier- li e rispondervi. Questo processo passa attraverso la sperimentazione di attività che hanno successo perché producono nell’ambiente risposte positive coerenti e prevedibili. La frustrazione, entro certi limiti, è utile alla crescita perché spinge il bambino ad attivare nuovi strumenti per soddisfare i suoi bisogni.

LA MALINCONIA DEL PUERPERIO O BABY-BLUES

Durante i giorni immediatamente successivi al parto le madri sperimentano un stato emotivo labile, dovuto alla drastica e improvvisa riduzione degli ormoni necessari durante la gravidanza, caratterizzato da melancolia e affaticamento.

Circa l’80% delle donne lo sperimenta nei primi giorni dopo il parto. Questo stato si manifesta, in media, intorno al terzo, quinto giorno dopo il parto e perdura per circa una decina di giorni. I primi sintomi coincidono, di solito, con la montata lattea, rendendoti difficile superare le piccole difficoltà che si presentano all’avvio dell’allattamento al seno. È comune la sensazione di non essere adeguata, e di non comprendere i bisogni del bambino. Soffrire di malinconia può far sperimentare la nuova realtà come più difficile da affrontare di quanto ci si potesse aspettare. Per questo poter parlare di questi argomenti nel contesto del gruppo e ottenere le giuste informazioni può aiutare le coppie ad affrontare in modo adeguato il vissuto conseguente al parto.

I CAN offrono anche un importante momento di prevenzione e screening della depressione post partum, perché consentono allo psicologo di cogliere il disagio materno, attraverso strumenti quali le domande di Whooley e la scala per la depressione peripartum e postpartum di Edimburgo, di monitorare lo stato psicologico della madre prima e dopo il parto. Un intervento tempestivo assicura meno sequele psicologiche e un aiuto concreto alle madri.

Nonostante la definizione di “depressione post partum” (DPP) sia oggi di uso comune, non vi sono elementi per sostenere che essa individui una precisa categoria nosografica. Per il DSM-IV e l’ICD-10 i criteri diagnostici sono gli stessi del disturbo depressivo: umore depresso e anedonia, accompagnati da perdita o aumento di peso, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, incapacità di concentrazione, sentimenti di colpa, pensieri suicidari, tentativi di suicidio. Si parla di DPP se l’insorgenza del disturbo avviene nelle prime quattro settimane dopo il parto per il DSM-IV o nelle prime sei settimane per l’ICD-10.

La DPP rappresenta, per caratteristiche cliniche e statistiche, la più rilevante complicanza psichica relativa al puerperio. Nel mondo occidentale si stima che colpisca circa il 10-15% delle donne che partoriscono. Nel documento redatto dalla Onlus Save the Children Italia, Percorso Nascita, elementi di analisi e proposta, vengono dettagliatamente indicati i fattori di RISCHIO “NON CLINICO”, ovvero quei fattori che singolarmente o in combinazione tra loro, determinano una potenziale esposizione della donna e del bambino a un disagio di varia natura, tra cui quello psicologico. Tale disagio ha conseguenze sul piano diacronico, quindi lo sviluppo dell’infante può risultarne compromesso in diversa misura. Per bambino a rischio, nel presente documento, si intende colui il quale non trovi all’interno della famiglia e dell’ambiente di vita le risorse affettiva, materiali e culturali necessarie alla sua crescita e al suo benessere. Per identificare i fattori di rischio si fa riferimento a disegni normativi, protocolli sanitari e progetti realizzati nell’ambito in oggetto[1].

Tra i rischi derivanti da insicurezza e disagio di tipo affettivo/relazionale e psicologico vengono indicati:• Età della mamma;• Circostanza della maternità (se desiderata, se indesiderata, ecc.);• Maternità precedenti (eventuali interruzioni di gravidanza volontarie o involontarie, problemi connessi alla gestione dei precedenti percorsi di nascita o alle precedenti esperienze di crescita e cura dei neonati, ecc);• Presenza/partecipazione affettiva del papà;• Presenza/partecipazione affettiva del/delle famiglie di origine;• Presenza di altre reti di sostegno di tipo familiare e/o amicale.

A questi vanno aggiunti la presenza di traumi, lutti recenti e abusi subiti dalla madre, e la condizione psicologica della donna; nello specifico presenza di disturbi dell’umore quali depressione, o altre patologie psichiatriche.                           

Non solo le madri possono soffrire di depressione post partum. Dal 2001, grazie allo studio di Luca e Bydlowski, i ricercatori hanno iniziato a prestare attenzione alle sequele psicologiche sperimentate dai padri durante la gravidanza e dopo il parto delle loro compagne. Dai dati sperimentali nel corso degli ultimi diciotto anni è emerso che i padri sperimentano sentimenti di irrequietezza, tristezza, malinconia, impotenza, disperazione e crollo. I sintomi più comuni sono insonnia, perdita di interesse nelle attività quotidiane, calo della libido, umore depresso e costante preoccupazione. La depressione paterna si presenta spesso associata a quella materna. L’incidenza del disturbo è stimata intorno al 10%. Una scoperta importante indica che lo stato emotivo del futuro padre, durante la gravidanza, influenza quello materno, in particolare se presenta disturbi depressivi, ansiosi o comportamentali. Per questo è importante considerare anche la salute psicologica dei padri, e poterli far sentire accolti e compresi nei corsi di accompagnamento alla nascita.

Dott.ssa Valeria Colasanti

Psicologa, Psicoterapeuta e Psico-Oncologa

Riceve su appuntamento a Roma e Villanova di Guidonia

(+39) 3488197748   alfastudiopsicologia@gmail.com

Per Approfondire 

Baldoni F. Funzione paterna e attaccamento di coppia, Azzano San Paolo, ed. Junior (2005);

Marimo M, Battaglia E, Massimino M, Aguglia E. Fattori di rischio nella depressione post partum. Riv. Psichiatria (2012);

Winnicott D, The Collected Works (Oxford Univ. Press, 2016)

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