Il rinforzo del comportamento. Tra ripetizione e estinzione

Sara è una bambina di 9 anni che frequenta regolarmente la terza elementare. La bimba è apparentemente tranquilla: per le prime ore di lezione mostra un comportamento adeguato al contesto scolastico, è attenta alla spiegazione, siede composta al suo posto e svolge tutti i compiti assegnati dalla maestra; con il passare delle ore, invece, Sara diventa irrequieta, si alza continuamente, disturba i compagni, chiede di entrare e uscire dalla classe. La maestra in tal caso ha due possibilità: o punire il comportamento di Sara facendole riempire pagine intere di frasi del tipo: “Non si disturba la lezione”, o provare a rinforzare i comportamenti positivi (rinforzo positivo), premiando e lodando i casi i cui la bimba rispetta le regole e segue un comportamento adeguato. A quanti genitori non è capitato di subire le lamentele del proprio figlio dovute al desiderio di avere un giocattolo?

Alessandro è un bambino descritto dai genitori come molto capriccioso, una piccola peste. Spesso, quando sono in giro, Alessandro comincia a fare i capricci con frasi del tipo: ” Mamma mi compri il gelato? Mi compri un gioco? Mi compri il gelato”?, dette a ripetizione Dopo vari tentativi di resistere alle lamentele del figlio, la mamma, ormai esausta, cede comprandogli ciò che il bambino richiede in quel momento. Anche in tal caso, come in quello precedente, la madre rinforzerà (rinforzo negativo), il comportamento del figlio che da ora in poi per poter richiedere la qualunque metterà in atto la stessa strategia ripetitiva e capricciosa.

In entrambi i casi ho utilizzato il termine “rinforzo”, ma adesso proviamo a vedere più da vicino il suo significato. Durante l’arco della nostra vita, partendo già dalla primissima infanzia, i nostri comportamenti vengono rinforzati o meno dagli altri o dalle circostanze esterne. Sia il rinforzo positivo che quello negativo ci guidano nella scelta e nella ripetizione del comportamento che mettiamo in atto. Il rinforzo positivo ha come obiettivo principale quello di far seguire una conseguenza positiva a un comportamento adeguato ad es. un bel voto, delle lodi o un premio: la caratteristica principale è quella di aggiungere qualcosa alla situazione. Nel rinforzo negativo, invece, si prova a eliminare lo stimolo avverso così da far sparire il comportamento inadeguato: la rimozione di quell’elemento è perciò la ragione del rinforzo. Chi lavora con i bambini, ma anche chi ha dei figli piccoli o grandi, dovrebbe poter e saper riconoscere il momento in cui viene messo in atto un rinforzo positivo o negativo, di modo da poter svolgere un buon ruolo educativo. Ma è anche vero però, e ci tengo a sottolinearlo, che nella relazione genitore – figlio come in quella insegnante – alunno, il rinforzo non è l’unico meccanismo che influenza il comportamento e il rapporto educativo (in quel caso, parleremmo di “addestramento”).

Il rinforzo, positivo o negativo che sia, ha l’obiettivo di promuovere il comportamento messo in atto in un preciso momento facendo si che quest’ultimo venga ripetuto nel tempo: ma per far sì che esso risulti efficace deve essere attuato subito dopo l’emissione della risposta adeguata. Nel caso in cui invece volessimo portare all’estinzione un certo tipo di comportamento dovremmo mettere in atto la punizione, cioè una situazione in cui viene imposta una conseguenza non voluta per poter eliminare un comportamento. Frequenti dibattiti che vedono coinvolti psicologi, educatori, insegnanti e genitori riguardano proprio l’utilità o meno della punizione; molti hanno seri dubbi sulla sua utilità, altri invece sono convinti della sua efficacia. Una cosa però è certa: la punizione ha come obiettivo quello di sopprimere solo temporaneamente quel comportamento, senza suggerire o indicare quello corretto da mettere in atto  in quella particolare circostanza.

Giulio è un bambino di 4 anni e ama giocare con le costruzioni. Dopo aver passato ore a distribuire i pezzi sul pavimento, si rifiuta di mettere in ordine. In questo caso il padre, tornato da lavoro esausto e con ben poca pazienza e voglia, si affretta a dare una sculacciata al figlio, che tuttavia continua a rifiutarsi di mettere in ordine. In questo caso la sculacciata può essere considerata una punizione, ma bisogna fare però molta attenzione. Giulio potrebbe anche non mettere in ordine i giochi solo per attirare l’attenzione del padre e in tal caso la sculacciata avrebbe un ruolo di rinforzo di quel comportamento, nella relazione educativa padre – figlio. Ben più efficace sarebbe stato il caso in cui il padre, seppur molto stanco, si fosse seduto vicino al figlio per mettere in ordine la stanza insieme a lui.

Il rinforzo positivo o negativo, come anche le punizioni, sono molto utilizzati nel loro insieme anche con gli adolescenti o coi ragazzi che presentano un disturbo di attenzione e iperattività, autismo o altre gravi patologie. Per loro, più che per qualsiasi altro ragazzo, c’è bisogno di stili educativi che siano sani, coerenti ed incisivi, che mirino a rinforzare, promuovere e incrementare i comportamenti più “giusti” e socialmente adeguati da seguire. Non serve a nulla far notare loro i comportamenti per così dire “meno consoni alla situazione”, ma si dimostra indubbiamente più utile l’impiego di strategie mirate a far comprendere quelli che sono i comportamenti più adeguati da seguire. E’ per questo che mandare il ragazzo fuori dalla classe, o riempire il suo diario di note si rivela poco sensato; è certamente più educativo e sano provare a rinforzare anche solo attraverso un semplice: “Sei stato bravo”, il comportamento socialmente adeguato a quel preciso contesto. Come sostiene Skinner: “Il rinforzo positivo rimane sempre più efficace e superiore al castigo o alla punizione. Per tornare a quanto detto in precedenza, nella relazione tra due persone, fortunatamente il rinforzo o la punizione non sono gli unici elementi ad essere coinvolti: l’aspetto più bello del rapporto tra due o più individui è dato dalla soggettività e dagli aspetti innovativi che le persone stesse scelgono di apportare nella relazione. Continuità e coerenza rimangono comunque due caratteristiche fondamentali che l’adulto deve possedere quando si trova a svolgere il compito più difficile, cioè quello di educare un bambino o ragazzo. L’eccezione può sì essere contemplata, purché si riesca a farla passare come tale e non come la regola.

 


Dott.ssa Serena Bernabè

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Per approfondire:

R.A.Fabio, Genitori positivi, figli forti, Erickson, 2003

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