I miti dello stupro
Perchè le donne non denunciano

Pubblicazione a promozione del progetto “Rondini. Centro di ascolto psicologico e assistenza legale” finanziato dalla Regione Lazio con risorse statali del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, promosso dall’Associazione Semi di Pace OdV in collaborazione con l’Associazione Il Sigaro di Freud come soggetto terzo – www.semidipace.it/progetto-rondini/

​Ha fatto molto discutere il video-discorso tenuto sul proprio profilo social, di Beppe Grillo, che con lo scopo di difendere il proprio figlio dalle accuse di stupro di gruppo, si cimenta nell’esposizione di una sequela di attacchi, delegittimizzazione e accuse verso le donne che hanno sporto denuncia. Senza voler entrare nel merito delle vicende di cronaca, ciò che colpisce e fa riflettere è la riproposizione di una serie di frasi e ragionamenti logici che rientrano nel pensiero paternalistico/patriarcale e che impediscono molto spesso le donne vittime di violenza, non soltanto di denunciare, ma molto spesso di riconoscere la violenza.


Gli abusi sessuali compiuti nei confronti delle vittime sono considerati degli attacchi diretti alla persona, condannando chi le subisce ad una strategia di silenziamento, subendo una deprivazione di potere. Questi sono aspetti dell’oggettivazione sessuale, ossia la riduzione delle molteplici forme di umanità di un altro individuo ad un’unica dimensione, quella del corpo, che portano la donna ad autosilenziare i propri pensieri e quindi ad auto-oggettivarsi, poiché le vittime si percepiscono come oggetti, privi di voce, e riducono la propria persona al solo aspetto fisico.


Perché le donne, a seguito di violenza, non denunciano l’accaduto ma preferiscono ricorrere al silenzio? Un motivo è che la vittima non “riconosce” di essere stata vittima di aggressione sessuale, confrontando la propria esperienza con i prototipi di stupro riconosciuti nella società, ovvero i “miti dello stupro”.


Con questo concetto ci si riferisce a false credenze riguardo le caratteristiche delle vittime di aggressione, dell’aggressore e del contesto in cui la violenza avviene, riconoscendo quindi come stupri solo i casi estremi. Possiamo riassumere i miti dello stupro in due categorie: la prima riguarda la definizione circoscritta dello stupro e la seconda riguarda il biasimo della vittima. 


La prima conclude che non è possibile che una violenza venga compiuta in ambito familiare, negando quindi gli stupri con determinate caratteristiche, ma anzi, le donne vittime di abusi “se la sono cercata” attraverso comportamenti inaccettabili nella società e che non assolvono i ruoli tradizionali di genere. La seconda categoria afferma che, spesso, la violenza viene minimizzata poiché la vittima viene rimproverata di essersela cercata a causa del suo abbigliamento oppure, se la vittima nel momento della violenza era ubriaca, vuol dire che era colpa sua. Questo porta la vittima a non denunciare l’accaduto ma ad interiorizzare queste false credenze che la società condivide.
Quando si verificano episodi di stupro, solo il 2% delle vittime denuncia l’accaduto alla polizia, proprio per paura di non essere credute. Nel momento in cui decidono di parlarne con un amico o con un familiare per ricevere supporto emotivo, spesso succede il contrario, ottenendo reazioni negative dal confidente il 39% delle volte, portando la vittima a provare emozioni negative e a sperimentare un malessere psicologico.


Tutto ciò porta ad una sorta di “cerchio di oggettivazione”, nel quale le donne che si auto-oggettivano tendono a concentrarsi sul proprio aspetto e pensano che anche le altre donne lo facciano sia per loro stesse che nei confronti delle altre, e questo succede anche nei confronti delle vittime di violenze sessuali.
A ciò si aggiunge il concetto di consenso che pare essere di difficile comprensione, soprattutto nei dibattiti popolari, pertanto è sempre utile ribadire tutte le caratteristiche del consenso che devono essere presenti per accertarci di non stuprare o violentare un’altra persona:

  • Il consenso deve essere volontario: oltre alla mancanza di consenso tipico degli “stupri nei vicoli ciechi”, è mancanza di vero consenso anche le ripicche o minacce nelle relazioni (“ Se non facciamo sesso ti lascio, o lo faccio con qulacun’altra/o) oppure inviare messaggi e fotografie sessualmente espliciti quando non richiesti. In una relazione è sempre opportuno domandarsi perché la propria o il proprio partner non vuole fare sesso e parlarne insieme, piuttosto che subirlo come un rifiuto e dunque attaccare o minacciare di abbandono;
  • Il consenso deve essere cosciente: Se l’altra persona si mostra disponibile ma non è in grado di intendere e di volere perché sotto effetto di alcool o droghe, allora non è consenso;
  • Il consenso deve essere revocabile: Se l’altra persona ti dice inizialmente di sì ma successivamente durante l’atto, cambia idea, allora il consenso viene revocato e dunque ciò che ne segue dopo è stupro. 
  • Il consenso deve essere specifico: L’atto sessuale si declina in varie forme e tipologie, se l’altra persona ti dà il consenso per una forma di atto sessuale, come ad esempio la masturbazione o il sesso orale, è comunque libera/o di non dare il consenso per la penetrazione o altro.

Come stabilito dalla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013, lo stupro è un “rapporto sessuale senza consenso“. L’articolo 36, paragrafo 2, della Convenzione specifica che il consenso “deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto“. Attualmente sono solo 12 gli stati europei che hanno adeguato la propria normativa alla convenzione di Instanbul in merito al consenso: Austria, Regno Unito, Irlanda, Lussemburgo, Germania, Cipro, Belgio, Portogallo, Islanda, Svezia Grecia e Danimarca. 


L’Italia è assente.


Mai come in questo periodo emergono le tante resistenze nel cambiare prospettive e modo di pensare, entrando in un profondo paradosso dove si lotta tanto per contrastare la violenza sulle donne, ma senza cambiare la condizione sociale, culturale, linguistica del femminile, molto spesso bistrattato, usato, omesso, oggettivizzato. Lo stupro non avviene solo nel vicolo cieco, è stupro quando non consideriamo gravi i fischi per strada di apprezzamenti non richiesti (catcalling) “perché si è sempre fatto così”, quando giudichiamo come poco di buono una donna che si veste in maniera provocante, ma non pensiamo lo stesso verso l’uomo, quando ci sembra così tanto cacofonico la parola sindacA, assessorA, avvocatA, da non comprendere le radici culturali che ci sono dietro un linguaggio non inclusivo, patriarcale.
In altre parole, se vogliamo realmente vivere in una società più inclusiva e civile, dovremmo fare lo sforzo di stravolgere una cultura radicata in noi, che ha ferito e ingabbiato noi stessi, ma che per troppo tempo abbiamo preso per legge e per consuetudine. Se non siamo in grado di comprendere il dolore della mancanza di un vero consenso, allora siamo noi stessi dei potenziali stupratori.

Dott.a Mina Turi

Dott. Dario Maggipinto

Per Approfondire:


Bevens, C. L., Brown, A. L., & Loughnan, S. (2018). The role of self-objectification and women’s blame, sympathy, and support for a rape victim. PLoS one, 13(6), e0199808.


Pacilli, M. G. (2014). Quando le persone diventano cose: corpo e genere come uniche dimensioni di umanità. Il mulino.

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