La disabilità di un figlio. Dalla dolce attesa alla realtà

“Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, cogli l’occasione per comprendere.”

Pablo Picasso

Quando si parla di disabilità molto spesso ci si dimentica almeno per un attimo dei genitori , che però costituiscono l’anello forte della catena costituita da tutti i professionisti, educatori ed operatori che intervengono nell’affrontare la progettazione e l’attivazione di piani specifici per il bambino, affinché egli possa raggiungere degli obiettivi specifici che gli rendano possibile vivere la vita e affrontarla facendo leva sulle sue abilità. È necessario riflettere su alcune questioni delicate, che pesano molto sulla relazione dei genitori di bambini con disabilità e tutti i professionisti e operatori che incontrano nel loro cammino verso il raggiungimento di piccoli e grandi obiettivi tanto attesi nella crescita del proprio figlio e che riguardano la disabilità stessa, ovvero il problema dell’accettazione e la difficoltà delle famiglie di sopportare il peso che questa comporta e che vivranno per tutta la vita. Quando un bambino viene concepito la vita della famiglia si modifica, i cambiamenti determinati dalla nascita di un figlio comportano anche una nuova dimensione psicologica.

Nel caso in cui ci si trova a fronteggiare una disabilità, bisogna far fronte ad una perdita: il figlio immaginato e idealizzato non c’è, ma davanti a loro c’è invece una realtà diversa. 

All’interno della famiglia delle mura domestiche, il bambino vive le principali esperienze motorie, emotive, relazionali, sperimenta le relazioni, attraverso l’interazione con le figure genitoriali e poco a poco con l’interazione con gli altri familiari e con l’ambiente esterno, sociale. Anche nelle situazioni di maggiore difficoltà o disagio la famiglia rappresenta il più importante elemento formativo nella personalità dell’individuo. In età scolare, successivamente, il gruppo dei pari esercita un’influenza prevalente rispetto alle altre componenti sociali e agisce sulla costruzione della personalità del bambino, in un contesto nuovo in cui l’educazione non è più basata sui legami affettivo- relazionali, ma sulla trasmissione di conoscenze e regole di convivenza. Il presupposto indispensabile per garantire lo sviluppo del bambino in un ambiente ricco di stimoli e di esperienze produttive è dunque una stretta collaborazione tra la scuola, le famiglie e le agenzie sociali. Lo scopo è quello di far vivere al bambino un’esperienza positiva in ambienti accoglienti, che permettano lo sviluppo emotivo cognitivo relazionale. Le famiglie dei bambini con disabilità rappresentano un interlocutore complesso, in quanto spesso sono portatrici di un bagaglio di dolore e sofferenza e cercano accoglienza, punti di riferimento, sollievo, sostegno e sicurezza.

Diversamente dal familiare del paziente psichiatrico, il genitore del bambino disabile subisce una ferita insanabile che non può collegare ad un evento esterno, e troppo spesso sa, e non può dirsi, che è stato lui che “lo ha fatto così”. Quando nasce un bambino con disabilità i genitori devono fare conoscenza con una creatura che ha una caratteristica sicuramente inattesa, un bambino difficile da riconoscere ed accettare.

Nell’incontro con i genitori di bambini disabili è sempre ben presente la dimensione ansiogena che il genitore vive durante il colloquio stesso, la presenza delle difese, ovvero l’attivazione di una protezione che permette la tutela della propria tranquillità. I meccanismi di difesa  generalmente sono un modo per alleggerire ed alleviare l’ansia e che sono atti a preservare, in questo caso, l’immagine che il genitore ha del proprio figlio e a proteggere il figlio stesso nel confronto con l’altro rispetto alle sue capacità, ai progressi attesi e non sempre raggiunti.

Il bisogno di preservare parti sane e positive del proprio figlio che vive una situazione di debolezza e di disagio, dovuta alla disabilità, risulta una condizione necessaria per i genitori stessi che non va sottovalutata da parte degli operatori del settore.

Le difficoltà che il bambino incontra, fanno sentire incapaci i suoi genitori. A volte i genitori tendono a colpevolizzarsi quasi a voler rintracciare un danno commesso nei confronti del proprio bambino. Il genitore può interpretare il successo o l’insuccesso del proprio figlio come proprio e dunque per salvaguardare la propria autostima ad esempio rispetto ad un insuccesso, tende a differenziarsi e prendere le distanze dal figlio. Questa misura di sicurezza nasce dal timore che egli stesso possa essere assimilato al proprio figlio.

Incentivare le aree di funzionamento che possono essere potenziate e valorizzare il bambino stesso, senza mascherare, negare, le aree colpite dalla disabilità offre la possibilità di vedere il bambino con altri occhi e di apprezzare le sue caratteristiche e la sua specialità, unicità. Un atteggiamento questo, onesto, ma anche positivo e propositivo che permette ai genitori che più si difendono dalla disabilità, di cominciare ad aprirsi alla possibilità di accettare in toto il proprio figlio, di riconoscere i suoi lati speciali, che sicuramente comportano una difficoltà maggiore nell’affrontare la vita quotidiana e gli interrogativi sul futuro, ma che può condurre anche a perdonarsi rispetto alla “colpa” di non essere stati dei genitori capaci di dare alla luce un figlio “normale” e cominciare a vedere il proprio figlio come un figlio unico e speciale.

Dott.ssa Emanuela Sonsini

Riceve su appuntamento a Chieti
(+39) 
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emanuela.sonsini@gmail.com

Per approfondire

Canevaro A., Pietre che affiorano. I mediatori efficaci in educazione con la logica del domino, Erickson, Trento, 2008.

Dina Vallino, Fare psicoanalisi con genitori e bambini, Borla, Roma, 2010.

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