La pazza gioia
Amicizia e sanità mentale

“Ogni uomo aspira a strappare al fluire del tempo le componenti più preziose della propria effimera esistenza, a estrinsecarle e a renderle in qualche modo eterne… Nell’amicizia si realizza questo desiderio fondamentale “ (S. Kracauer).

Beatrice e Donatella non potrebbero essere più diverse. La prima millanta amicizie potenti, veste come se fosse appena tornata da un cocktail party al Rotary Club e rappresenta perfettamente quello che nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali è definito disturbo istrionico di personalità. Donatella invece è cupa, il suo corpo muscoloso e sottopeso è pieno di tatuaggi, che raccontano fin troppo del suo turbolento passato, più di quanto lei vorrebbe dire di se stessa. Per creare il suo personaggio, il regista Paolo Virzì (Ovosodo; La prima cosa bella), si è ispirato alle opere di Egon Schiele, regalando agli spettatori un ritratto femminile profondo e intenso. Queste due donne così diverse sono unite dal vivere all’interno di una comunità psichiatrica, dalla quale fuggiranno per assaporare la libertà del “manicomio a cielo aperto” del mondo dei sani. Il film “La pazza gioia” è stato presentato il 14 maggio nella sezione Quinzaine des Réalisateurs del festival di Cannes e arriverà nelle nostre sale il 17 maggio. Il film racconta il disagio mentale – aggiunge Virzì – una cosa che riguarda tutti ma che spesso si vuole tenere distante da noi per paura. Io credo che non si debba temere la pazzia, ma si debba aver paura di chi ha paura della pazzia”. Virzì racconta con poetica maestria un’amicizia profonda e fuori dalle convenzioni sociali del mondo dei cosiddetti sani di mente.

L’amicizia non ha a che fare soltanto con la nostra capacità di entrare in relazione con gli altri, in primis i nostri caregiver, ma anche con la nostra sanità mentale. Per uno sviluppo sano è necessario che il bambino sia in grado di stringere relazioni interpersonali al di fuori della famiglia, e generalmente ciò avviene nel contesto scolastico e in quello non formalizzato del gioco, come al parco o nel cortile di casa. Già nella fanciullezza, secondo diversi Autori, l’amicizia viene considerata una relazione volontaria, chiusa, basata sulla predilezione e attrazione reciproca, nonché sul piacere della compagnia reciproca (Bukowski, Newcomb e Hartup, 1996). Già Aristotele decantava le lodi dell’amicizia, scrivendo che essa è una virtù necessaria per la vita, e che nessuno vivrebbe senza amici anche in possesso di ogni altro bene. Essa è infatti un rapporto interpersonale fondamentale per ognuno di  noi, che soddisfa l’esigenza di porsi in relazione con l’altro da sé, in una danza continua tra movimenti di identificazione e di differenziazione con gli altri. L’amicizia è fondamentale per lo sviluppo dell’identità, della capacità di comunicare e di ricorrere all’aiuto degli altri significativi. L’amicizia è dunque una indispensabile palestra evolutiva. Nell’infanzia essa contribuisce allo sviluppo sociale, mentre in adolescenza è fondamentale per lo sviluppo emozionale, perché rafforza le risorse interne e contribuisce alla ricerca di sostegno sociale nel superamento degli episodi critici che possono presentarsi nella vita di ogni adolescente, fungendo, secondo svariati studi, da fattore protettivo rispetto a malattie mentali e comportamenti devianti. In assenza di relazioni amicali adeguate aumenta il rischio di diventare in futuro degli adulti disturbati. Possiamo distinguere due tipi di reti amicali, quelle sparse, più profonde ma prive della dinamica gruppale, che coinvolge maggiormente il sesso femminile; le amicizie che nascono in un contesto tipicamente gruppale sono contraddistinte da atteggiamenti condivisi, pratiche comuni, e da un forte senso di appartenenza, ma sono meno profonde e intime, e sono caratteristiche del sesso maschile. In genere le amicizie fioriscono grazie alla condivisione di spazi, che determinano anche l’attribuzione di particolari status sociali, come ad esempio la scuola per gli studenti, o il lavoro per i colleghi, o la palestra per coloro che la frequentano. L’amicizia ci rende partecipi di una moltitudine di gruppi e contesti, allargando gli orizzonti del contesto familiare, permettendo maggiore libertà ed emancipando dal giudizio dei partner o dei genitori.

Un’amicizia può interrompersi quando vengono meno i valori di fondo che le due persone condividono, quando la concezione della vita cambia, non si è disposti al perdono dei difetti dell’altro e a superare le incomprensioni. Si può affermare che esista una relazione tra valori e rapporti amicali, dato che la sfera valoriale sembra agire da catalizzatore dell’amicizia, mentre non si può affermare lo stesso per i rapporti familiari, dove in genere avviene il contrario. Nel passaggio da una generazione all’altra i valori cambiano, e tra genitori e figli si crea una distanza. L’amicizia, essendo la forma più evoluta di aggregazione, ha basi biologiche e un valore per la sopravvivenza della specie. Affonda le radici nell’attaccamento e nella cura della prole, dato che è nel rapporto di attaccamento primario che si crea la base della fiducia nell’altro e si sviluppano quelli che Bowlby definiva i Modelli Operativi Interni che ci permettono di avere una teoria della mente dell’altro e di prevedere il suo comportamento. Nell’amicizia e nella sua genesi è coinvolta anche la cooperazione, uno schema comportamentale che permette di avere un obiettivo condiviso con altri nostri simili. Attraverso la cooperazione è possibile fare un’esperienza di pariteticità, agendo di comune accordo con altri per raggiungere mete che da soli ci sarebbero precluse. Infine l’amicizia, a livello biologico, si fonda sul comportamento filogeneticamente più evoluto dell’affiliazione al gruppo. Si tratta di un comportamento svincolato dalla condivisione di scopi o di obiettivi, ed è dettato dalla esigenza umana di condivisione e appartenenza ad un gruppo sociale. È in base a questo comportamento che sentiamo il desiderio di stare con gli altri per il piacere della loro compagnia. L’amicizia è quindi fondamentale per lo sviluppo psichico umano, e per la nostra salute mentale. Beatrice e Donatella, nonostante i loro problemi e i loro vissuti, riescono a stabilire un nuovo rapporto che le conduce fuori dalla comunità terapeutica, in un simbolico viaggio di ritorno verso la sanità e verso la vita.

Dott.ssa Valeria Colasanti

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“Ogni uomo aspira a strappare al fluire del tempo le componenti più preziose della propria effimera esistenza, a estrinsecarle e a renderle in qualche modo eterne… Nell’amicizia si realizza questo desiderio fondamentale “ (S. Kracauer).

Beatrice e Donatella non potrebbero essere più diverse. La prima millanta amicizie potenti, veste come se fosse appena tornata da un cocktail party al Rotary Club e rappresenta perfettamente quello che nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali è definito disturbo istrionico di personalità. Donatella invece è cupa, il suo corpo muscoloso e sottopeso è pieno di tatuaggi, che raccontano fin troppo del suo turbolento passato, più di quanto lei vorrebbe dire di se stessa. Per creare il suo personaggio, il regista Paolo Virzì (Ovosodo; La prima cosa bella), si è ispirato alle opere di Egon Schiele, regalando agli spettatori un ritratto femminile profondo e intenso. Queste due donne così diverse sono unite dal vivere all’interno di una comunità psichiatrica, dalla quale fuggiranno per assaporare la libertà del “manicomio a cielo aperto” del mondo dei sani. Il film “La pazza gioia” è stato presentato il 14 maggio nella sezione Quinzaine des Réalisateurs del festival di Cannes e arriverà nelle nostre sale il 17 maggio. Il film racconta il disagio mentale – aggiunge Virzì – una cosa che riguarda tutti ma che spesso si vuole tenere distante da noi per paura. Io credo che non si debba temere la pazzia, ma si debba aver paura di chi ha paura della pazzia”. Virzì racconta con poetica maestria un’amicizia profonda e fuori dalle convenzioni sociali del mondo dei cosiddetti sani di mente.

Per Approfondire:

Smith E.R., Mackie D.M., Psicologia sociale, Zanichelli, Bologna, 1998;

Grazia Attili, a cura di, Le basi biologiche del comportamento sociale. La scuola tedesca e la scuola inglese dell’etologia, Rassegna di psicologia, 2000;

Michael A. Hogg, Sarah C. Hains, Friendship and group identification: a new look at the role of cohesiveness in groupthink, European Journal of Social Psychology, 1998

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