La società in crisi. Alla ricerca di un capro espiatorio

L’individuazione di un capro espiatorio è una dinamica caratteristica di qualsiasi gruppo, e generalmente si attiva per spostare ed attenuare la minaccia di sfaldamento del gruppo stesso: per evitare conflitti interni tra i vari membri del gruppo, generalmente viene individuato l’elemento ritenuto più disturbante, perché diverso dai valori comuni, e si accusa tale individuo di essere il portatore del malessere dell’intero gruppo. In tal modo il capro espiatorio porta con sé una duplice funzione: diviene il contenitore del malessere di tutti i membri e garantisce la sopravvivenza del gruppo stesso. Renè Girard teorizza che la dinamica del capro espiatorio è alla base della creazione dei miti d’origine, osservando come non solo nei piccoli gruppi, ma soprattutto nel collettivo e nella società di un paese o nazione, l’individuazione del capro espiatorio permetta di evacuare in parte la violenza ed il malcontento del popolo. Girard esamina la struttura tipo di un mito ed osserva come generalmente inizia con una persona che porta con sé una diversità, come l’essere uno straniero o l’avere una disabilità fisica (lo zoppo Edipo) o psichica ( il folle Dionisio).

Il diverso entra in una comunità, una nuova città, e porta con sé scompiglio e sciagura all’intera città, che risolve tale maledizione, uccidendo, sacrificando, esiliando o scacciando il diverso. Dopo tale atto violento perpetuato dalla comunità, la violenza e la rabbia del popolo viene meno, e sopraggiunge uno stato di calma ( nonostante il malessere continua ad esserci) assieme ad un profondo senso di colpa che porta il popolo ad onorare il diverso che si è sacrificato per il bene della comunità, rendendolo un Eroe da ricordare. Girard osserva come sia la comunità stessa, in un profondo stato di malessere, come la carestia od una epidemia, a caricarsi di una violenza talmente forte da divenire ingestibile anche per i leader. Tale violenza rende impossibile il poter pensare e riflettere ad una soluzione ottimale per far fronte al malessere, piuttosto diviene preponderante la sfera istintuale e pulsionale. In tal senso, la comunità, violenta e disperata va alla ricerca di una risoluzione basica ed immatura, quindi piuttosto che pensare “Cerchiamo di capire quali sono state le cause rispetto ad una nostra gestione della comunità da modificare, per avere un nuovo stato di benessere”, agiscono con “pensieri” del tipo “Fino ad un anno fa stavamo bene, adesso siamo disperati, evidentemente c’è una causa immediata che ha causato tale malessere: individuiamola per ritornare al benessere perduto!”. L’estraneo si presta bene a divenire il capro espiatorio di tutta questa violenza, poiché essendo apparentemente diverso, e quindi un membro esterno al gruppo, è facile pensare che tale persona agisca ai danni della comunità per un proprio profitto. In preda alle pulsioni, e con una struttura rigidamente conservatrice, dove il cambiamento si percepisce come una minaccia, viene a mancare un riflessività interna delle problematiche del gruppo, si tende a cercare all’esterno la responsabilità del fallimento del sistema comunitario, piuttosto che all’interno, attaccando lo straniero o il leader della comunità, senza comprendere realmente la complessità della criticità. È come se una famiglia fosse in una continua lotta interna, ma non appena un figlio porta una compagna all’interno del nuovo sistema famigliare, la famiglia “smette” di litigare e si allea contro l’elemento non famigliare, accusandolo di provocare liti all’interno della famiglia.

Bion definì tale assetto della comunità “assunto di base” che si contrapponeva al “gruppo di lavoro”. Gli assunti di base sono formazioni gruppali dove viene a mancare la possibilità di riflettere e gestire i conflitti interni, piuttosto i membri vengono dominati dalle emozioni e dagli istinti. Esistono 3 tipologie di assunti di base: l’assunto di base dell’accoppiamento, dove la comunità si stringe attorno ad una coppia carismatica, sicuri che tale coppia li guiderà e salverà; l’assunto di base “ di dipendenza” dove il gruppo o la comunità dipende da una figura carismatica, il salvatore o il prescelto; e l’assunto di base “attacco-fuga” dove la comunità percepisce come minaccioso tutto ciò che è diverso dai propri valori, attaccandolo con rabbia e fuggendo da qualsiasi confronto, generando guerre. Un esempio di quanto detto lo possiamo ritrovare nel nazismo e nella sua politica di sterminio di ebrei, omosessuali, disabili e diversi. La Germania, dopo la prima guerra mondiale, versava in un profondo stato di povertà. Tale malessere ha generato un radicato animo di violenza nella popolazione tedesca, che si è trovata ben disposta a riversarlo verso i banchieri ebrei e verso tutto ciò che potesse minacciare ulteriormente la stabilità della comunità, ossia qualsiasi diverso. Dopo che la violenza è stata perpetuata, la popolazione stessa è rimasta sconvolta nell’osservare ciò che le proprie pulsioni avevano generato e, integrandosi con un profondo senso di colpa, hanno onorato le vittime come martiri, e la loro violenza da ricordare per sempre. Il paradosso sta nel fatto che proprio quando la comunità, in un profondo stato di malessere, necessità di un cambiamento del sistema, si difende con tutte le sue forze per negare questo cambiamento “strutturato”, regredendo ad un assetto ultraconservatore che scaccia l’idea innovativa e diversa, preferendo risoluzioni più immediate ed istintuali. Purtroppo, nonostante le tante giornate della memoria, stiamo regredendo ancora oggi a quest’assetto di violenza. La popolazione occidentale, fino agli anni 2000, aveva raggiunto un progresso culturale molto forte, con politiche di multiculturalismo e promozione dei diritti umani; ma non appena è sopraggiunta la profonda crisi economica, ecco che sopraggiunge il malcontento e la rabbia, che incontrollata e senza informazione, diviene violenza verso dei nuovi capri espiatori.

Senza rischiare di cadere in discorsi politici, altrettanto violenti, sarebbe opportuno riflettere nel modo opportuno, e cercare, per il bene della comunità, di informarsi nella maniera più adeguata. Il popolo Italiano, probabilmente per le sue radici cattoliche, è una comunità tanto affezionata all’assunto di base “della dipendenza”, alla ricerca incessante di un Salvatore che li guidi contro il male. Attualmente tale assunto è fallito, a causa del mancato stato di benessere immediato garantito dal leader di turno, bensì, con tale delusione, ci si sta spostando verso un assunto di “attacco-fuga”, via i politici, via gli immigrati, via tutto ciò che non ci permette di ritornare agli splendori di un tempo.

Purtroppo, ci sono solo due modi per bonificare tale violenza: individuare un capro espiatorio ed aggredirlo, scoprendo successivamente che non è servito a nulla ed il senso di colpa successivo permetterebbe di riflettere, seppur con una colpa che non porta con sé una risoluzione, ma il fantasma della violenza che un giorno ritornerà ( poiché è comunque un sistema che ha funzionato per riportare la pace, quindi, inconsciamente, da poter riutilizzare); oppure accettare la perdita dei tempi passati, di ciò che si è perso, permettendo di modificare il sistema con nuovi progressi che sono in linea con le nuove esigenze della collettività.

Dott. Dario Maggipinto

Riceve su appuntamento a Chieti

(+39) 334 9428501

dario.maggipinto@gmail.com

Per approfondire

Bion W.R. (2009)Esperienze nei gruppi, Armando Editore, Roma,

Girard R. (1980) La violenza e il sacro, Adelphi Editore

Girard R. (2016) Miti d’origine, Feltrinelli Editore

Nesci D.A. (1991) La notte bianca, studio etnopsicoanalitico del suicidio collettivo, Armando Editore

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