La vita invisibile degli accumulatori. Senza queste cose non sono nulla

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Il termine “ disposofobia  ”, che vuol dire “accaparratori”, viene ritrovato per la prima volta nella storia dei fratelli Collyer.

Homer Collyer e Langley Collyer sono stati due fratelli statunitensi noti per la loro natura ossessivo-compulsiva, conosciuta anche come “disposofobia”o “sindrome dei fratelli Collyer”. Nati da una ricca famiglia, a seguito del divorzio dei genitori iniziarono a rinchiudersi in loro stessi, rifiutando ogni contatto con il mondo esterno, senza mai uscire per decenni dalla loro abitazione furono trovati morti negli anni ’40. Una chiamata anonima avvisò la polizia della presenza di un cadavere in quell’edificio e le forze dell’ordine si trovarono di fronte ad una casa piena di trappole contro gli intrusi, immondizia, e qualunque tipo di oggetto che avevano accumulato in circa quarant’anni dall’inizio del secolo alla loro morte.

Questa storia fa riflettere su come sia assai comune per molte persone, la difficoltà di disfarsi delle proprie cose, anche di quelle ormai inutili: oggetti rotti, indumenti inutilizzati, sacchetti di plastica, vecchi giornali, tessere scadute e via dicendo. Anche se un oggetto non ha alcuna utilità, né un particolare valore sentimentale o materiale, molte persone provano una sorta di resistenza a gettarlo via. Così, tali oggetti inutili, si accumulano nei cassetti, negli armadi, nelle soffitte, nelle stanze. 

Come afferma Remo Bodei, nel libro “ La vita delle cose”, la tendenza a non buttar via niente diventa patologica quando la quantità di oggetti inutili rende inutilizzabili aree della casa e compromette fortemente la vita degli interessati e dei familiari, nonché la propria sicurezza all’interno dell’abitazione. Gli oggetti diventano parte dell’esistenza da cui è difficile separarsi.  In questi casi si ha un vero e proprio disturbo mentale che è meno raro di quanto si  pensi. 

Infatti, solo negli ultimi quindici anni questa condizione ha richiamato l’attenzione e oggi si parla di includerla nella classificazione internazionale dei disturbi, con il nome di “disturbo da accumulo” oppure “disposofobia”.

Il confine tra normale e anormale diventa sottile quando parliamo di disposofobia. Qualsiasi persona si lega ai propri averi e spesso si conservano oggetti che altre persone non conserverebbero. Quindi, tutti, in un modo o nell’altro, condividiamo alcune tendenze disposofobiche. Ci si chiede quale sia il motivo per il quale questi collezionisti compulsivi creino condizioni invivibili per sé e nella maggior parte dei casi anche agli altri. Da varie ricerche è emerso che molte persone con problemi di disposofobia hanno in comune la paura dello spreco, l’attrattiva dell’opportunità o il conforto e la sicurezza procurata dagli oggetti.

Non resta comunque una coincidenza che molte delle persone disposofobiche siano intelligenti: esse considerano ogni minimo oggetto ricchissimo di dettagli, che una persona “normale” non vedrebbe mai. Altro tratto comune tra gli accumulatori è la stretta dipendenza del contatto visivo con gli oggetti; egli non sopporterebbe mai di vedere, in qualsiasi angolo di casa sua, uno spazio vuoto, e la visione con l’oggetto ha un effetto quasi rassicurante, di sicurezza.

Le persone disposofobiche riempiono lo spazio delle proprie abitazione a prescindere dalla grandezza o meno: se hanno una casa riempiono quella, se ne hanno due ne occupano entrambe ed è assolutamente evidente il fine: riempire ogni spazio. E ancora più difficile è il disfarsi delle proprie cose:  l’accumulatore ha timore di lasciare andare la fortezza che si è costruito e le violazioni della proprietà portano a sentimenti di estrema vulnerabilità che il soggetto fa fatica a sopportare. 

La tendenza all’accumulo spesso è dovuta a traumi passati, come:  l’essere derubati di qualcosa con minacce o con la forza, l’essere stati forzati ad attività sessuali, mancata presenza dei genitori in tenera età, l’essere aggrediti fisicamente, il non aver vissuto un’infanzia felice, rapporto altalenante se non quasi assente con la famiglia, o presenza attuale o passata di un disposofobico all’interno del proprio nucleo familiare. Tali eventi spesso portano le persone a trovare conforto nelle cose, e la disposofobia risulta essere un fenomeno di risposta perfetto, ed è per questo che si deve necessariamente tenere conto della storia biografica del soggetto. Sicuramente, non tutti i casi di disposofobia scaturiscono da un trauma, ma comunque la maggior parte di essi ne è stata fortemente colpita o esposta; certamente le persone colpite da un trauma hanno problemi di accumulo più gravi rispetto a coloro che non ne hanno vissuti.

E’ il disordine, più che la difficoltà a gettare via, ad essere associato ai traumi, anzi spesso è considerato una sorta di protezione in casa.

I risultati sui traumi e l’attaccamento in materia psicologica, insieme agli effetti tranquillizzanti che gli oggetti sembrano avere sui disposofobici, suggeriscono che questo fenomeno nasca fondamentalmente in circostanze di vita difficili ed è per questo che diventa necessario l’intervento del professionista per esaminare ciò che succede nella vita di queste persone.

“Per gli altri il mondo è pieno di rifiuti: oggetti inutili, brutti e rotti. Ma per Nina ogni forma, ogni colore, consistenza, profumo raccontano tutti una storia e vale la pena conservarli. Non auguro a nessuno la sua malattia ma ogni tanto colgo un barlume di quello che vede lei e mi aiuta.” ( Dr House – Medical Division)

Dott.ssa Valentina Campoli

Vincitrice del Contest WeWantYou nel mese di Luglio 2020

Per Approfondire

– Bodei R. , La vita delle cose , Editore Laterza , 2009

– O. Frost R. , Steeketee Gail , Tengo tutto. Perchè non si riesce a buttarevia niente. , Edizioni Centro Studi Erikson , 2013

– Fromm E. , Avere o essere? , Edizioni Mondadori , 2013

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