Lascia o raddoppia. Come affrontare un problema?

Gediminas Pranckevi – Autum

“Ho la febbre…mi bombardo di tachipirina…domani non posso assolutamente saltare quell’appuntamento”. Quante volte vi è capitato di pronunciare questa frase? Quante volte avete guardato con terrore il termometro e pensato immediatamente agli impegni che proprio non avreste potuto rimandare? Senza dubbio ognuno ha i suoi ottimi motivi per sperare di non dover rimandare determinati impegni. Per sperare di non dover passare due giorni a casa sotto le coperte piuttosto che in ufficio a sbrigare quella pratica importantissima e più che urgente, la cui scadenza risuona ormai come l’ultimo rintocco della mezzanotte fatale per Cenerentola. Speriamo di non essere costretti a perdere tempo, per non dover poi correre più veloci degli orologi che minacciosi segnano il passare delle ore.

Per questo chiediamo l’aiuto di infallibili compagni di mille lotte. Farmaci, pasticche e pasticchette ci rimettono in sesto…forse…non sempre. “Si abbassa la febbre e vado in ufficio”. Passa il sintomo e, anche se non nel pieno delle nostre forze, possiamo andare avanti. Senza fermarci.

Passa il sintomo. Questo è il punto cruciale. Il sintomo è l’espressione della presenza di una malattia. Al manifestarsi di una malattia quasi sempre compaiono uno o più sintomi. E se c’è la malattia c’è una causa, che la origina e la mantiene in essere. La causa ovvero il colpevole, il responsabile che ha turbato il nostro equilibrio. Il sintomo dovrebbe quindi allarmarci non in quanto tale, ma in quanto presenza di una malattia. A questo punto dovremmo cercare di capire da dove ha avuto origine e agire sulle cause per debellarla. Abbassare la febbre assumendo dei farmaci, elimina il sintomo e ci permette di avvertire un benessere. Ma non si tratta in realtà del ripristino del precedente equilibrio, per il quale dovremmo aspettare qualche giorno. 

Ovviamente tutti noi in molte situazioni possiamo tollerare uno stato influenzale semplicemente riducendone i sintomi e attendendo il suo naturale decorso.

Il discorso si fa più complesso per altre condizioni…per altri sintomi di altre malattie…di altri disturbi. Mi riferisco ai disturbi psichici. Si tratta di condizioni ben più complesse di uno stato influenzale, per le quali non basta attendere il naturale decorso. Placare l’ansia tramite interventi centrati sul sintomo può ovviamente portare ad un iniziale benessere. Permette di liberarsi di un sintomo invalidante che blocca e impedisce di vivere anche le situazioni quotidiane. Ma ci siamo liberati del vero problema? Abbiamo eliminato il sintomo. Ma la malattia? La causa? Perché ci viene l’ansia? Allo stesso modo si verifica la tendenza rischiosissima a curare sintomi depressivi tramite la ricerca di un po’ di euforia. Mix di droghe legali o illegali e di alcool vengono usati per lenire il dolore dato dallo stato depressivo, ma, oltre ad arrecare danni al nostro organismo, non agiscono sulla causa e non curano la depressione.

La psicologia può aiutare a risalire alla causa di alcuni sintomi, a comprendere di quale disturbo si tratta e per quale motivo questo sia insorto. L’insorgenza di attacchi di panico in un ragazzo intorno ai venti anni, che ha appena lasciato la casa dei genitori per andare a studiare in un’altra città, può essere affrontata riducendo o eliminando gli attacchi. Ma si può anche legare la sintomatologia al momento particolare e delicato che il ragazzo sta vivendo. Lasciare la casa dei genitori, abbandonare il nido, provare a volare da soli. Si può parlare di separazione dalla famiglia di origine, di un compito evolutivo che può mettere a dura prova una persona. Può scatenare una forte ansia nel momento in cui un rapporto eccessivamente simbiotico impedisce di sperimentare la lontananza dalle figure genitoriali e l’abbandono del rapporto di dipendenza.

Questo è solamente uno degli esempi che possono far capire che risolvere un sintomo può essere una soluzione utile ma non definitiva. Una soluzione che rischia seriamente di non centrare il focus del problema e quindi di non intervenire sulle cause. Si tratta di scegliere tra fermarsi in superficie o andare in profondità. Lasciare o raddoppiare.

Dott. Roberto Zucchini

Per approfondire:

Gabbard, G.O. (1992). Psichiatria Psicodinamica. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Malagoli Togliatti, M., Lubrano Lavadera, A. (2002). Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia. Bologna: Il Mulino.

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