L’altro lato della luna- Nei panni del caregiver

“Nella mia mente sono rimaste una serie di immagini visive delle cose più strane e lontane dalla normalità terrestre. Ricordo il cielo nero come la pece, la desolazione della superficie lunare.”

BUZZ ALDRIN

A volte sono invisibili, altre volte sembrano invadenti e ansiosi e altre ancora sono rigorosi come genitori severi. Dietro una persona affetta da un patologia neurodegenerativa, c’ è quasi sempre un caregiver! Hanno molte sfaccettature, sono diversi l’uno dall’altro ma sono afflitti dallo stesso “alone”.

Andiamo con ordine!

Le persone sono caratterizzate da:

  • Una sfera sociale, legata ai rapporti con gli altri;
  • Una sfera professionale, legata al lavoro;
  • Una sfera economica;
  • Una sfera emotiva, legata alle proprie emozioni e alle emozioni degli altri.

I caregiver… ci siamo mai chiesti   quante rinunce devono fare per essere tali?

Stando agli ultimi dati diffusi, le malattie neurodegenerative, come le demenze sono in esponenziale aumento e con loro, quindi i caregiver coinvolti nelle relazioni di cura.

L’impegno esercitato diventa sempre maggiore  man mano che la malattia che coinvolge il nostro caro diventa sempre più ingravescente. Si mette in atto una vera e propria escalation che talvolta  funziona così :

  1. “forse ha bisogno di me, oggi passo a casa sua a  vedere… “
  2. “Devo andare a cucinare, non è più in grado di farlo da solo/a, è sempre più difficile conciliare tutti gli impegni!”
  3. “devo andarla ad aiutare ad alzarsi dal letto, potrebbe cadere, dovrò organizzarmi con il lavoro”
  4. “Dovrò trasferirmi da lui/lei oppure dovrà trasferirsi da me… non può più stare sol*!

Questo è il processo che ci indica la via che ogni caregiver intraprende quando diventa tale!

E dietro ci sono tante rinunce che crescono man mano che l’ impegno cresce. Talvolta il tempo da dedicare a sé stessi diminuisce sensibilmente, il tempo per gli hobby, per la propria famiglia e molte volte si vedono costretti anche ad abbandonare il lavoro al fine di prendersi cura del proprio caro fino alla fine, o fino a quando, allo stremo delle forze gli sarà possibile.

Inevitabilmente anche la condizione economica diventa dipendente dalla persona di cui ci si prende cura, causando la rinuncia di altro ancora. Diventa un circolo vizioso inarrestabile, nel quale non per ultimi vengono inclusi anche le emozioni riguardo sé e gli altri. Ciò avviene perché, a lungo ci si sente frustrati come individui e perché la percezione rispetto a sé stessi cambia; si devono cambiare punti di vista e obiettivi di vita, vivendo una vita che non abbiamo scelto ma che ci troviamo a subire.

Cosa si può fare per cercare di arginare tutto questo?

Creare una rete!

  • Una rete familiare: stabilendo flessibilmente dei turni da investire con la persona che ha la patologia;
  • Una rete sociale, attivando i servizi che si possono richiedere alle istituzioni come l’attivazione della 104 oppure l’accompagnamento o il servizio di l’assistenza domiciliare integrata (ADI);
  • Una rete con i professionisti: medico di base, neurologo, oss, fisioterapista, neuropsicologa…
  • Creare uno spazio proprio nel quale ci si può prendere cura di sé : psicologo, estetista, amicizie, hobby, sport…
  • Avere uno spazio condiviso tra caregiver e persona con patologia attraverso uno spazio piacevole per entrambi, ad esempio: per-therapy, teatro oppure un corso di  arte terapia.

Tutto ciò è importante perché rinnovare le proprie energie, quelle del caregiver, significa poterne investire di nuove nelle relazioni di cura, vivendo in modo più confortevole in una situazione non sempre semplice da gestire.

Per approfondimenti:

https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/pmi/2023/05/23/oltre-7-milioni-di-caregiver-38-cura-non-autosufficienti_126950b3-440f-4a82-99be-f171a1ea15f8.html

Psicologa clinica ed esperta in neuropsicologia clinica dell’adulto e dell’anziano

Si riceve a Chieti

Per appuntamento: 3285776623

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Incedere tra le separazioni
Nuovi luoghi per trovarsi

 Prima di mettersi in cammino si allacciano le scarpe, capita poi che lungo il tragitto ci siano dei nodi più resistenti e alcuni invece troppo lenti. Per poter continuare il viaggio spesso siamo portati a riannodare i lacci, con la speranza che almeno per quel tragitto reggano, a volte succede, a volte si slacciano nuovamente. Questi nodi metaforicamente possono considerarsi alla stregua di tutti quei legami che nel corso della vita si intessono, alcuni durano il tempo di qualche passo, altri il tempo di una maratona. Ciò che però risulta imprescindibile è il bisogno di ciascuno di noi di riannodare quei due lembi di stoffa per prevenire l’inciampo e per continuare nel nostro percorso.

 Ogni giorno ciascuno di noi si confronta con il tema della separazione che vede quei due lacci divisi, dopo un pezzo di strada insieme. Ci si separa dai genitori, dagli amici, dai partner, ma anche dai colleghi o dal cassiere al supermercato. Il terapeuta e il paziente si separano tra una seduta e l’altra, come per la pausa estiva o per la chiusura di un percorso.

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Il fragore della durata
Che cos’è l’eiaculazione precoce

“Il canto della durata è una poesia d’amore. (..) E questo amore ha la sua durata non in qualche atto, ma piuttosto in un prima e in un dopo, dove per il diverso senso del tempo di quando si ama, il prima era anche un dopo e il dopo anche un prima”

Che significato diamo alla parola “durata”? Peter Handke sosterrebbe che dietro a questo termine si nasconda la “sensazione di vivere”; altri, invece, si potrebbero nascondere dietro a questo tema riportando il loro disagio, la loro vergogna, la loro ansia ed il loro dolore.

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Confini personali e relazioni
I bisogni come guida

Riuscite a immaginare come sarebbe camminare all’interno di un’illusione ottica?

Pensate a un’ampia stanza vuota dalle pareti bianche che si trasforma in uno spazio senza confini, grazie a linee e grafiche che modificano la prospettiva e gli elementi architettonici che le ospitano.

È quello che accade nelle opere di Peter Kogler, artista viennese che combina architettura e grafica e che, ridisegnando completamente le pareti, i pavimenti e i soffitti con intricate linee ondulatorie, verticali e orizzontali, ridefinisce gli ambienti e li trasforma in luoghi illusori.

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La mentalizzazione
Un dispositivo che aiuta il corpo a pensarsi

Spesso si parla dei disturbi psicosomatici come esito di un mancato dialogo tra il corpo e la mente.  Ma cosa permette questo dialogo? E soprattutto come riesce il corpo a pensarsi?

Tale competenza sembra affondare le sue radici in un processo esordiente della nostra vita, che chiama in causa le figure primarie, il rispecchiamento.

Nel momento in cui il bambino “scopre se stesso negli occhi della madre”, questo diviene consapevole dei suoi stati emotivi, riflessi e pensati dall’Altro. In questo modo il bambino sviluppa quella capacità, denominata mentalizzazione, che consente di comprendere le intenzioni e il pensiero sottostanti il comportamento proprio e altrui. Questo costrutto sembra essere direttamente chiamato in causa nella comprensione dei segnali sprigionati dal corpo.

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It’s a match!
L’amore ai tempi dell’argoritmo

“Quando si effettua una scelta, si cambia il futuro” – Deepak Chopra

Ragazza sola al bancone del bar, il barista le porge un drink indicando uno sconosciuto, i due si sorridono, un brindisi a distanza, lo sconosciuto si avvicina, i due iniziano a conversare. Tipica scena hollywoodiana di un incontro casuale che potrebbe anche rivelarsi l’inizio di una frequentazione. Qui non siamo a Hollywood ma le cose non accadono poi diversamente… eppure negli ultimi anni qualcosa è cambiato, al di là e al di qua dell’oceano.

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Madri che uccidono: l’infanticidio in nomine matris
Psicologia forense, criminologia, natalità

Una madre darebbe la sua stessa vita per il proprio bambino”. Spesso si ascolta questa frase giudicandola così veritiera e certa che non si chiedono, a differenza di altri presunti assiomi, spiegazioni e prove in merito. Giusto così, proprio perché ciò che è naturale pare ovvio, le dimostrazioni così ricche e presenti da risultare inutili. Innumerevoli esempi nella storia, nella letteratura, nella cronaca quotidiana hanno permesso di instillare una granitica certezza: una madre può solo amare il proprio bambino e morire con lui e per lui.

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Iperimpegnati e stanchi
Oltre al lavoro cosa c’è?

“Mi sembra di essere su una ruota che gira e non riesco a scendere mai” oppure “Mi sveglio con un peso allo stomaco ogni mattina”, “sono sempre arrabbiatə” e ancora “Mi sento sfinitə! A tratti disperatə”. 

Sono frasi che, ultimamente, capita di sentire fin troppo spesso, in stanza di terapia, nelle storie dei nostri pazienti ma anche nella vita di tutti i giorni. Molti racconti e molte osservazioni convergono in un senso generale di fatica che riguarda la situazione lavorativa ma si estende anche alla sfera privata.

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Parafilie e disturbi Parafilici
Una linea sottile tra perversione e malattia mentale

Attraversare il mondo delle parafilie e forse uno dei cammini più difficili per un professionista della salute mentale. E un percorso complesso, scivoloso, mai lineare sotto molti punti di vista : legale, diagnostico e curativo. 

Certo, diranno i più esperti alla lettura, questo è lo stesso per la maggior parte delle psicopatologie dove trovare confini netti e impensabile, a volte addirittura controproducente.

Il clinico che vi si addentra deve farlo entrandoci del tutto ma allo stesso tempo rimanendo lucidamente fuori: direte come si fa ?

Si fa un po’ come ha fatto Ulisse, che legato all albero maestro, riuscì comunque a farsi avvolgere dal canto ammaliatore delle sirene e ad uscirne indenne.

Ora cerchiamo di capire il perché di questa complessità.

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Idea, attesa e incontro
La nascita come esperienza trasformativa

L’esperienza della nascita di un figlio è spesso esito di un viaggio articolato tra l’idea, l’attesa e l’incontro con l’Altro.

Tale tragitto spesso attiva nell’individuo una serie di processi di rimpasto di vissuti e desideri passati e fantasmatici. Innanzitutto, è importante considerare che il desiderio di gravidanza e il desiderio di maternità/paternità non necessariamente coincidono; mentre il primo fà riferimento al desiderio di dimostrare di “funzionare” come le proprie figure primarie e quindi di saper procreare, il secondo é strettamente connesso al desiderio di accudire, dove l’immaginare un figlio é mosso da spinte arcaiche legate alle proprie relazioni affettive e alle esperienze accuditive primarie, all’essere figli.

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