Psicologia in Musica
Destinazione Paradiso di Gianluca Grignani

“Destinazione Paradiso” è la lettera di un dolore struggente, il dolore della perdita improvvisa di una compagna e dei sogni condivisi insieme. Racconta dell’insostenibile sofferenza di chi rimane in vita, di un vuoto doloroso, dei pensieri ricchi di solitudine e della fatica di vivere, continuare a vivere in assenza dell’altro. Le parole, la musica e l’interpretazione permettono di entrare in risonanza con il comune senso di disorientamento e confusione conseguente la morte di una persona cara.  C’è rabbia, disperazione, solitudine e senso di colpa nella progettazione di un viaggio oltre la vita per riconquistare un amore volato via troppo presto.

In questo girotondo d’anime

chi si volta è perso e resta qua

lo so per certo amico

mi son voltato anch’io

e per raggiungerti ho dovuto correre

L’autore parla ad un “amico” come se stesse parlando a se stesso. Immaginiamo un dialogo interiore fra due parti del suo sé, una vitale e l’altra distruttiva. La richiesta d’aiuto arriva dalla parte distruttiva, in cui l’autore si identifica, che è attratta dalla morte e dal suicidio, ma che desidera anche esserne salvata.La canzone si apre con una sensazione di stordimento evocata dall’immagine di anime che si muovono all’unisono in un “girotondo” a cui l’autore non prende parte. La gioiosità del girotondo rappresenta ciò che avviene al di fuori del sé ed è contrapposta ai tentativi distruttivi del sé verso la perdizione e la tristezza.  La strofa ci ricorda come sia necessario, per sopravvivere, “correre” incontro al nostro “amico” interiore, ricercando quella flebile vocina vitale in noi.  

ma più mi guardo in giro e vedo che,

c’è un mondo che va avanti anche se

se tu non ci sei più

se tu non ci sei più.

E dimmi perché

in questo girotondo d’anime non c’è

un posto per scrollarsi via di dosso

quello che c’è stato detto e

quello che oramai si sa

e allora sai che c’è.

È  faticoso continuare a vivere e recuperare una normalità a causa della “normale” fragilità dell’ io. Le perdite hanno bisogno di tempo per essere elaborate, ovvero riconosciute, affrontate e accettate. Dalla morte all’elaborazione del lutto passano mesi in cui si vivono una moltitudine di emozioni e si attivano numerosi meccanismi in difesa del proprio io dalle angosce di separazione e di morte (per un maggiore approfondimento si rimanda all’articolo Il lutto- perdere se stessi con l’altro).

Questa parte della canzone sembra farci entrare in contatto con una sensazione di immobilità: non è possibile permettersi di provare emozioni perché la persona amata non può condividerle con noi, farlo sarebbe come un tradimento. Emerge il vissuto del senso di colpa di essere la persona sopravvissuta e di non aver fatto abbastanza per impedire la morte dell’altro: un senso di colpa oggettivamente ingiustificato, ma soggettivamente lacerante. Sono i sensi di colpa a fare sentire bloccati, come congelati nel vivere (per un maggiore approfondimento si rimanda all’articolo “Il senso di colpa- Schiacciati da se stessi)

Mentre intorno il mondo esorta ad andare avanti, si respinge la socialità e si sceglie la propria solitudine, al contempo colmante e vuota.  Un dubbio viene all’autore, nel  “mondo che avanti” non esiste un posto dove stare bene ed è così che pensa ad un viaggio.

C’è, che c’è

c’è che prendo un treno che va

a paradiso città

e vi saluto a tutti e salto su

prendo il treno e non ci penso più.

 Un viaggio ha senso solo

senza ritorno se non in volo

senza fermate nè confini

solo orizzonti neanche troppo lontani

io mi prenderò il mio posto

e tu seduta lì al mio fianco

mi dirai destinazione paradiso

C’è, che c’è

c’è che prendo un treno che va

a paradiso città

io mi prenderò il mio posto

e tu seduta lì al mio fianco

mi dirai destinazione paradiso

paradiso città.

Cedendo ad una fantasia distruttiva, immagina un viaggio, un comodo viaggio in cui poter riprovare emozioni e non essere più solo. Fantastica su un’altra dimensione in cui poter mantenere in vita la persona amata. Il suicidio viene pensato come l’unica via possibile per il ricongiungimento e come l’ultima testimonianza di amore.

La direzione del viaggio è il Paradiso, forse sa di non meritarlo, ma a rassicurarlo c’è la sua compagna che appare accanto a lui come un angelo. Nel suo sogno ad occhi aperti, emerge un meccanismo di idealizzazione, molto comune nell’innamoramento (per un maggiore approfondimento si rimanda all’articolo “Dipendenze affettive- né con te, né senza di te”) e nei lutti, in cui si costruisce un’immagine dell’altro e della relazione come estremamente positiva e onnipotente.

Un mio paziente una volta mi disse: “Si dice che pensiamo al suicidio almeno una volta nella vita”. Non so bene se fosse una credenza, l’avesse inventato o rappresentasse una statistica corretta; in quel momento, però, aveva il desiderio di comunicarmi quella pulsione presente anche in questa canzone: esiste una spinta interiore verso la distruttività, tanto forte quanto la spinta verso la vita e a volte un pizzico di più. In ogni essere umano, secondo Freud, coesistono due pulsioni in eterna lotta fra loro: una di morte (Thanathos), auto ed etero-distruttiva; l’altra di vita (Eros), auto-conservativa protesa al soddisfacimento dei bisogni sessuali e vitali. Le sperimentiamo entrambe, le conosciamo entrambe.

Il suicidio, dunque, è un’idea così lontana e così vicina dalla nostra mente. Il dolore per la morte prematura di una persona cara apre interrogativi sul senso della vita e fa riflettere sulla quasi totale assenza di controllo che l’essere umano ha di fronte agli eventi della vita.

“Destinazione Paradiso” suona come una lettera d’addio, i “colori” sono cupi ed i vissuti privi di speranza e carichi di angoscia. Quando entriamo in contatto con i vissuti depressivi dei nostri pazienti, siamo inondati dallo stesso senso di vuoto e solitudine che affiora nella canzone. L’obiettivo della terapia non è mai la dissolvenza del dolore, ma la rinascita della speranza. Solo attraverso il perdono dei propri errori e l’abbandono faticoso del senso di colpa, può riaccendersi la speranza sul futuro. Mi piace pensare che l’aver trasformato il suo dolore in una forma artistica sia stata, per l’autore, una scelta terapeutica.

È forse la possibilità di condividere la fantasia di volare lontano dal proprio dolore così materiale, così esistenziale ad aver reso questa canzone tra le più popolari in Italia.

Dott. ssa Emanuela Gamba

Riceve su appuntamento a Roma e Formia (LT)

(+39) 389 2404480

emanuela.gamba@libero.it

Per Approfondire:

Borgna E.(2017) “L’ascolto Gentile”, Ed. Einaudi

Freud S. (1915) “Lutto e Melanconia”

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