Riapriamo le nostre porte. Le relazioni nel post lockdown

Quante volte in questi due mesi di lock down ci siamo ritrovati a leggere articoli o ad ascoltare opinionisti che, molto ottimisticamente, auspicavano una società migliore alla fine della chiusura forzata? 

Una società dove il vicino sarebbe stato un alleato in questo destino comune e non un avversario sul quale prevalere.

E’ stato veramente così? Siamo tornati fuori dalle nostre case cambiati e pronti ad aprirci e ad accogliere gli altri?

Questo appena passato è stato un periodo di chiusura; a dispetto dei primi giorni, quando si cantava sui balconi e si passavano le giornate tra una videochiamata e l’altra, siamo stati costretti a chiudere le nostre porte e a rintanarci nelle nostre case.

A livello simbolico il fatto stesso di chiudere una porta è un atto molto importante. 

Una porta aperta indica comunicazione, passaggio, mentre una porta chiusa indica divieto, separazione.

La porta segna un confine tra l’estraneo e ostile esterno, il fuori, quello che vogliamo ma che ci spaventa, mentre dall’altra parte ci sono le mura domestiche, nella maggior parte dei casi un ambiente familiare, caldo e sicuro. La porta è l’incontro tra questi due livelli. Da una parte il caos e dall’altra la certezza.”

Questa chiusura forzata a causa del virus ha amplificato ancora di più questo concetto. In casa sto bene e sono al sicuro, fuori sono in pericolo perché c’è il nemico.

Nonostante la voglia di riprendere la normale quotidianità e di uscire per incontrare gli altri, questi due mesi hanno inevitabilmente intaccato e quindi modificato, anche soltanto a livello inconscio, le nostre relazioni.

Anche i più socievoli di noi, andando ad analizzare i propri comportamenti, potranno notare delle piccole differenze nel modo di relazionarsi al prossimo. Anche semplicemente il divieto di avere un contatto fisico, il non potersi abbracciare o scambiare una semplice pacca sulla spalla, ci inibisce e in qualche modo ci frustra e limita.

Avremmo dovuto prepararci a riaprire le nostre porte, sia fisicamente, che interiormente.

Ezio Bosso, famoso direttore d’orchestra e pianista italiano, venuto a mancare pochi giorni fa, in una sua toccante intervista televisiva aveva dichiarato:

“A me le porte non piacciono, vedi che è aperto(la porta della sua stanza era spalancata). Ho sempre avuto la porta aperta. Se uno ha bisogno è con le porte aperte che ci si aiuta, non con le porte chiuse. Già il gesto di bussare può fare paura.”

Essere pronti ad accogliere gli altri e a farci accogliere non sono cose semplici e l’una non contempla necessariamente l’altra. Riuscire ad aprire le nostre porte prevedrebbe un abbassamento delle difese, un’eliminazione di muri che la società contemporanea ha contribuito a creare. Difese e muri appunto, ma a cosa sono dovuti se non alla paura? Non ci apriamo al prossimo semplicemente per paura; di essere feriti, di non essere accettati per quel che siamo o, come in questo periodo, per paura di essere contagiati.

In questo post lockdown, dove siamo ancora costretti a mantenere le distanze fisiche, è facile non riuscire a distinguere la parte fisica da quella emotiva e quindi ad abbinare al distanziamento corporeo, quello emotivo. Questo porta ad una diversificazione delle relazioni rispetto a come le vivevamo qualche mese fa. Siamo costretti a dover bussare alla porta emotiva dell’altro e viceversa ci aspettiamo che gli altri bussino alla nostra, ma come citato nella frase che riporta l’intervista al maestro Bosso, questo può far seriamente paura.

“Tutti hanno porte da attraversare, ogni giorno. L’importante è avere lo spirito di andare avanti senza chiuderle, attraversare la porta è un atto di coraggio di movimento.” 

Il fumettista romano Zerocalcare nei due mesi passati di quarantena ci ha tenuto compagnia con dei mini-episodi di fumetti animati incentrati ovviamente sul tema quarantena.

Credo che abbia saputo raccontare con intelligenza ed ironia il vissuto di molti di noi, riprendendo concetti molto importanti per analizzare le nostre relazioni durante e dopo il lockdown.

Il filtro quarantena – è quello che ce altera la realtà e per il quale se ritrovamo a scrive, a chatta con persone che fino a un mese fa ce sembravano quasi peggio del coronavirus e mo invece grazie a sto filtro quarantena se famo confidenze se raccontamo a tarda notte sogni speranze, cosa faremo dopo, cose de un’intimità senza precedenti a gente a cui manco gli avresti detto “scusa me allunghi il pane che nun c’arrivo”, al ristorante.

I cocci – stamo proprio a cocci dentro a sta bolla, chi per un motivo, chi per un altro…c’ho pure un groppo alla gola che nun se ne va e cerco de capì perché e penso che forse è perché ma mo che finisce ma che se inventeremo quando ce guarderemo allo specchio e staremo ancora allo sbando isolati e manco gli potremo accolla sti cocci al Coronavirus?.

Endgame – io noo so come sarà. Io già c’ho un po’ de nostalgia de sti giorni assurdi de paura ma pure de speranza de quando pensavamo ancora che tutti i nodi che c’avevamo in gola prima del coronavirus sii poteva porta via sta quarantena.

Troviamo, in una prima fase, un’alterazione delle relazioni attraverso la tecnologia, incentivata dalla distanza. Quindi la possibilità di by-passare determinate fasi relazionali e aprirsi totalmente o quasi anche con chi, in una situazione normale, non avremmo mai pensato di farlo.

Poi incontriamo una fase di analisi dove ci si rende conto che, nonostante per alcuni giorni è stato possibile avere una giustificazione per tutto, prima o poi arriverà il momento in cui si dovrà tornare a fare i conti con la quotidianità. Una quotidianità fatta di relazioni vere e dove non basta una chattata o una videochiamata per sentirsi migliori e meno soli.

E infatti si arriva poi alla consapevolezza che, nonostante il Problema più grande potrebbe essere risolto, o almeno fortemente ridimensionato, non significa che questo porti via con sé tutti gli altri “nodi in gola”.

La chiusura in casa ci ha fatto pensare, per alcuni momenti, che l’unico vero problema fosse il virus là fuori, ma la realtà è che ognuno di noi ha dei problemi, piccoli o grandi che siano e sono indipendenti dal virus. I problemi dipendono da noi e dal rapporto che abbiamo con gli altri. Aprirci al confronto ci aiuterebbe a superarli ed anche a superare le difficoltà interiori emerse in questa quarantena.

In sostanza, credo che non possano bastare due mesi di quarantena per cambiare un tessuto societario ormai radicato e strutturato da decenni. Destrutturare il tipo di società in cui viviamo richiede tempo e politiche che incentivino la comunità in tal senso.

Il lockdown per alcuni può aver avuto dei risvolti personali interiori positivi, ma trasportarli fuori richiede impegno da parte di tutti. Richiede la necessità di aprire le nostre porte personali e questo, come detto, fa paura.

Soglia come uscio, uscio come uscire, come lasciarsi andare. Come andare incontro a ciò che succede. Le porte esistono soprattutto per essere aperte, per accogliere e lasciare entrare la luce, il vento, gli altri. Noi.

(Andrea Marcolongo)           

Dott. Diego Bonifazi

Assistente Sociale a Roma

+39 3296614580

diego.bonifazi@yahoo.it

Per Approfondire:

www.eticamente.net  – “Porte: significato e bellezza in 53 foto”

Canale YouTube zerocalcare –  Rebibbia quarantine

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