Siamo tutti narcisisti? Il censore interno contro il Sé reale

Il termine narcisista è ormai diffuso ed utilizzato da chiunque, generalmente per indicare una persona estremamente egoista, incapace di comprendere i bisogni dell’altro. Se prestassimo ascolto a tutte le persone che definiscono gli altri, o addirittura se stessi, narcisista, inizieremmo a chiederci se non ci sia una vera e propria invasione. È innegabile che la società attuale si struttura intorno ad una modalità istrionica e narcisistica (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “Popolarità a 5 stelle – Sono ciò che gradite di me”), esaltando l’apparire, l’involucro e dunque il falso al reale; ma è anche vero che è questa pressione all’apparire della società che crea ancor di più tale fraintendimento.

La nozione di disturbo narcisistico di personalità è stata formulata da Heinz Kohut nel 1971 e introdotta dietro sua proposta nel manuale Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM). Ciò che distingue questi pazienti, ovvero la struttura psicologica ipotizzata da Kohut, e per la quale coniò il termine “Sé grandioso”, è una sorta di cosiddetto “Falso Io” o “Falso Sé”, che conserva alcune delle caratteristiche primitive dell’Io infantile, un’immagine interiore eccessivamente idealizzata ed “onnipotente” che l’individuo percepisce come il vero “Io”. I soggetti affetti sono spesso caratterizzati da un bisogno affettivo specifico, quello di essere ammirati, in misura superiore al normale o che appare inappropriato ai contesti. Ovviamente il “Sé grandioso” o “Falso sé” è finalizzato a nascondere o ad allontanarsi dalle parti di sé mortificate, umiliate, incomprese, percepite come estremamente pericolose per l’integrità del Sé.

A questo punto, però, diviene necessario chiarire un fraintendimento comune: siamo tutti “narcisisti”; ossia dentro ognuno di noi c’è un funzionamento narcisistico, fondamentale per la costituzione della stima di Sé. Per poter comprendere tale funzionamento è importante sapere che fin da piccoli, per la costituzione del Sé, ognuno di noi fa riferimento a due bisogni fondamentali: il bisogno affettivo, ossia il bisogno di amare e di essere amati, di legarsi, di creare investimenti affettivi e di dipendenza sana, fondamentale per il bambino per sentirsi protetto, al sicuro e percepire un valore profondo del sé, l’essere amabile; ed il bisogno narcisistico, ossia sentirsi capito, ascoltato e riconosciuto rispetto ai propri pensieri, sentimenti, emozioni e stati d’animo, fondamentale per il bambino per percepire un’identità diversa dall’altro/genitore. Il bisogno effettivo e quello narcisistico, se ben equilibrati, portano il soggetto a sentirsi amato e protetto nel legame, anche se diverso e distaccato (non fuso) dal legame stesso.

Questi due bisogni ci riportano ad un eterno incontro/scontro che ritroviamo in molte coppie, il protendere verso il legame o verso l’autonomia. In realtà è molto comune, a causa di un sistema educativo censurante e basato sull’abuso di potere dell’adulto sull’infante, che il genitore ami il proprio figlio ma imponga il proprio pensiero, andando a svilire, ridicolizzare o censurare violentemente il pensiero del bambino, perché troppo piccolo. Non c’è un dare sinceramente ascolto al suo mondo interno, ma piuttosto esiste la convinzione di doverlo educare, andando a spegnere ogni forma di emotività “fuori controllo”. Il bambino, ritrovandosi a dover scegliere fra il bisogno di essere amato e quello di essere riconosciuto, preferisce il più delle volte il primo, poiché il sentirsi amato e al sicuro è una realtà più protettiva che diventare autonomo. Avviene dunque che il soggetto si allei col movimento censurante dei genitori, diventando egli stesso autocensurante verso le parti di sé più emotive e continuando ad autoflagellarsi alla ricerca di un sé ideale: “Se diventerò adulto, sicuro di me, come i miei genitori mi vogliono, finalmente diverrò autonomo”. È come se anziché specchiarmi in maniera spontanea ed immediata, io vada alla ricerca continua di un riflesso idealizzato e tanto agognato (esattamente come nel mito di Narciso). In altre parole ognuno di noi, deve poter fare i conti con le proprie ferite narcisistiche, ossia poter mettere in discussione il censore interno per potersi alleare con le parti di sé più autentiche ma ferite, perché mai riconosciute; tutto ciò può portarci a comprendere che non esisterà nessuno all’esterno di noi in grado di comprenderci soltanto guardandoci, senza aprir bocca; ma che siamo noi tenuti a renderci comprensibili all’altro. In altre parole siamo noi che dobbiamo poter riconoscere noi stessi, nelle nostre parti più vulnerabili per prendercene cura, e non ricercare un bisogno di definizione negli occhi di chi dovrebbe amarci; è nostra responsabilità renderci amabili all’altro e comprendere noi stessi, rinunciando all’idea dell’amore incondizionato.

Dott. Dario Maggipinto

Riceve su appuntamento a Chieti

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dario.maggipinto@gmail.com

Per Approfondire:

Kohut H. (1977), Narcisismo e analisi del sé. Bollati Bollinghieri editore

Miller A. (1981), Il Bambino inascoltato. Realtà infantile e dogma psicoanalitico. Bollati Bollinghieri editore

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