“Star Wars: Il risveglio della Forza”
Il cinema e l’eredità del mito, tra eroi, spade laser e archetipi junghiani

Star Wars the force awakens – 2015 Lucasfilm, Bad Robot Productions Distribuzione Walt Disney Studios
Image courtesy of Walt Disney Distribution

“Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…” è questo l’incipit di ogni episodio della saga di Star Wars, il cui settimo capitolo “Il risveglio della Forza”, è uscito nelle sale italiane lo scorso dicembre. Sono passati trent’anni dalla battaglia di Endor e dalla distruzione della seconda Morte Nera, e l’eroe della saga, Luke Skywalker, è scomparso.

Non vi diremo altro sulla trama del film, per non rovinarlo a chi ancora non lo ha visto, e per non tediare chi lo ha già visto almeno cinque volte al cinema. Perché la potenza narrativa mitica e archetipica della saga di Star Wars risiede nel fatto che non ha bisogno di presentazioni, è entrata a pieno titolo nel Pantheon mitologico post moderno rappresentato dal cinema. Come altre opere fantasy, ad esempio “Il signore degli anelli” scritto da Tolkien e filmato da Jackson in una trilogia il cui primo capitolo è uscito nelle sale nel 2001, è stata in grado di accogliere l’eredità della mitologia classica per rispondere ad un bisogno umano antichissimo e vitale nato con la capacità di narrare e quindi di rappresentarsi nel mondo come soggetti che giocano con il significato dell’esistenza e dell’esistente. Usando le parole dello psicologo analista junghiano James Hillman l’antichità è rilevante per la vita della psiche. Nella sua opera Hillman dimostra come i miti antichi, da Dioniso ad Atena, sono connessi alla vita quotidiana, “La Wirksamkeit del mito, la sua realtà consistono precisamente nel potere che gli è proprio di conquistare e influenzare la nostra vita psichica. I Greci lo sapevano molto bene, per questo non conobbero una psicologia del profondo e una psicopatologia, contrariamente a noi.” Secondo Hillman noi non abbiamo bisogno di miti perché abbiamo la psicologia del profondo, ma c’è chi non è d’accordo con il suo punto di vista, e afferma che i nostri miti, esattamente gli stessi degli antichi, ma con le spade laser al posto delle folgori, sono raccontati dal cinema e dalla narrativa moderna.  

Una figura fondamentale nello studio del mito in questo senso è Joseph Campbell, storico delle religioni, che si è ispirato a Carl Justav Jung nello studio dei miti e degli archetipi. Secondo Campbell gli archetipi dell’inconscio collettivo individuati da Jung hanno una struttura comune a quella di tutti i miti umani, nelle differenti culture e tradizioni. Le funzioni del mito sarebbero quattro: “Metafisica: che risveglia il senso di meraviglia davanti al mistero dell’essere; Cosmologica: che espande la forma dell’universo; Sociologica: che conferma e sostiene l’ordine sociale esistente;” e infine “Pedagogica: che guida l’individuo attraverso i vari stati di passaggio della propria vita.” Ogni forma narrativa, dalle fiabe della tradizione orale sino ai blockbuster americani, non sono altro che forme moderne di narrazioni antichissime che si snodano attorno a funzioni fondamentali del mito e si articolano secondo un percorso preciso, rintracciabile punto per punto in ogni narrazione, che l’Autore definì un “monomito”. Nella sua opera “L’eroe dai mille volti” Campbell esplicita proprio questa struttura, indicando i 19 passi del percorso dell’eroe. L’eroe, tra tutte le figure archetipiche individuate da Jung e da Hillman rappresenta colui che supera la condizione limitata e imperfetta umana, per ascendere al divino e redimere l’umanità. Il viaggio di ogni eroe può essere metaforicamente descritto come tripartito nelle seguenti fasi: Separazione; Iniziazione e Ritorno, che ricordano molto le regole della speculazione filosofica e in particolare della dialettica: tesi, antitesi e sintesi da Socrate in poi.

Stiamo mischiando il sacro al profano? Esattamente! Se un tempo veniva usata la figura di Ercole per svolgere le quattro funzioni fondamentali del mito individuate da Campbell, oggi la moderna narrazione utilizza la figura di Luke Skywalker o di Frodo Baggins. E le loro avventure seguiranno sempre lo stesso percorso, appunto quel “monomito” che lo sceneggiatore Chris Vogler ha saputo tradurre in un testo “sacro” per Hollywood, “Il viaggio dell’eroe”, in cui ha sintetizzato il lavoro di Campbell in un percorso in 12 tappe, che l’eroe compie per riuscire nella propria impresa, dal mondo ordinario che lascia per iniziare la sua avventura, fino al ritorno con l’elisir, che avrà conseguenze catartiche sul mondo del protagonista.


Dott.ssa Valeria Colasanti

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colasantivalaria@gmail.com

Per approfondire:

Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Feltrinelli, Milano, 1958

Christopher Vogler, Il viaggio dello scrittore: la struttura del mito per autori di racconti e sceneggiatori, Dino Audino Editore, 1992

La struttura del mito eroico, Milena Comuniello, www.tiKINO.ch

Archetypal Psychology, Uniform Edition, Vol. 1 (Spring Publications, 2004. Original 1983.)

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