Il Gender. Questo frainteso

Mi preme fare una breve premessa a questo articolo, che tratta una questione spinosa, dibattuta ed attualissima. Le considerazioni che seguono sono frutto certamente dello studio e dell’approfondimento dal punto di vista teorico e scientifico, ma ancor prima di una riflessione autentica sulla libertà dell’essere umano, che dovrebbe essere (a mio parere) scevra dai condizionamenti di correnti di pensiero che si arrogano il diritto di dare una definizione rigida e bidimensionale a ciò che continuamente si muove, evolve e cambia.

La genetica è una scienza ansiosa che vorrebbe una definizione limpida ed univoca per tutti. Ci dota infatti del cosiddetto sesso biologico, che definisce la nostra identità sessuale, ovvero genitali esterni, gonadi, quadro ormonale e caratteri sessuali secondari (che si svilupperanno durante la pubertà), in maniera dicotomica: o sei A o sei B. Cromosomi XX definiscono il femminile, cromosomi XY definiscono il maschile.

Tuttavia, la dedizione di madre natura arricchisce questa visione univoca della sessualità intesa dell’essere umano. Esiste infatti anche la condizione intermedia di ermafroditismo (o intersessualità), che nella sua forma più comune si manifesta come un’anomalia gonadica o degli organi sessuali, ovvero cromosomi che corrispondono al maschile o al femminile, ma organi sessuali o gonadi che corrispondono al sesso biologico opposto.

La questione si complica ulteriormente nel momento in cui si sviluppa l’identità dell’individuo, un processo bio-psico-sociale inevitabile, complesso ed in continua evoluzione durante il corso dell’intera vita (per un approfondimento, si rimanda agli articoli“Idendità – Come si risponde alla domanda “chi sei?“” e “Formazione dell’identità- Un processo senza fine”).

Con la sua teoria sullo sviluppo psicosessuale a stadi, Freud sosteneva che lo sviluppo dell’identità va di pari passo con lo sviluppo sessuale. Ovvero: al processo di sviluppo e di esplorazione della sessualità, si affianca uno sviluppo psichico correlato alla sessualità: lo sviluppo dell’identità di genere. L’identità di genere riguarda la sensazione psichica, intima e profonda, la convinzione permanente e precoce di essere uomo o donna. Esprime la presenza delle strutture mentali di “mascolinità” e “femminilità” da attribuire a sé e agli altri, strutture che si acquisiscono in una fase precoce dello sviluppo infantile (dalla nascita fino ai tre anni di età circa) e sono il risultato dell’interazione tra le identificazioni con i propri genitori ed i ruoli di genere da essi rivestiti, l’educazione ricevuta, l’ambiente socioculturale in cui si è immersi, e la propria “natura”.

A tal proposito, è necessario annoverare la condizione in cui vi è una forte e persistente identificazione con il sesso opposto, non riconducibile ad un’anomalia congenita, ma che comporta un disagio clinicamente significativo. In questi casi siamo in presenza di un disturbo di identità di genere, e davanti a queste situazioni alcune cliniche all’avanguardia, attraverso interventi chirurgici, cure ormonali e sostegno psicologico per affrontare il percorso di cambiamento, permettono alle persone che vivono questo forte disagio di trasformarsi in chi sentono di essere veramente (per un approfondimento, si rimanda all’articolo “Transessualismo – Rinascere me stesso).

Affrontando la questione del genere, è indispensabile parlare poi della ricerca dell’altro-da-sé con cui instaurare una relazione erotico-affettiva. Infatti, così come gli atomi, secondo la teoria elettronica della valenza, non rimangono isolati ma tendono spontaneamente a creare legami tra loro per raggiungere configurazioni più stabili, noi esseri umani ricerchiamo il contatto con altri esseri umani (si rimanda all’articolo “Relazioni patologiche e doppi legami – “Di relazioni ci si ammala, di relazioni si guarisce”).

Questa ricerca pone la questione dell’orientamento sessuale, che definisce il genere di altro (o altri) che noi tendiamo a ricercare, e che ci definisce come etero-, omo- o bi-sessuali.

Correlata all’identità di genere, vi è poi l’identità di ruolo (o ruolo di genere), che è l’insieme dei comportamenti, messi in atto all’interno delle relazioni con gli altri, e delle caratteristiche che in un dato contesto storico-culturale sono riconosciute come proprie dei maschi o delle femmine. Costruito concettualmente a partire dai due anni e suscettibile di trasformazione nel tempo, il ruolo di genere esprime adattamento sociale (O MENO) alle norme condivise su attributi e condizioni fisiche, gesti, abbigliamento, tratti di personalità, igiene personale, registro linguistico, interazioni sociali, interessi, abitudini, adeguati o inappropriati per genere.

Quando si parla di natura e di adattamento sociale (o meno), si intende non la natura genetico-biologica, ma la vera essenza (anche e soprattutto psichica) dell’individuo ed il suo scontro con le rigide strutturazioni culturali, che richiedono la corrispondenza ad un modello di genere rigido e stereotipato (per un approfondimento, si rimanda all’articolo “Stereotipi e pregiudizi – Una rosa se non si chiamasse rosa”).

Avremo dunque un fiocco azzurro alla nascita del maschietto, che sarà un “maschiaccio”, giocherà a calcio, andrà male a scuola, e sarà un uomo in giacca e cravatta di successo. E un fiocco rosa per la femminuccia, che indosserà ampie gonne e cerchietti, sarà pacata e responsabile, farà danza classica, e diventerà una brava casalinga, moglie e madre di famiglia.

Questi personaggi-macchietta rigidi e bidimensionali risultano fastidiosi per ognuno di noi, il quale sceglie di ricercare indipendentemente e liberamente la propria identità, e la propria identità di genere, con i propri personalissimi tempi, secondo i propri personalissimi tracciati. Ma rappresentano (purtroppo) dei retaggi culturali fortemente radicati in ognuno di noi, che a tutti noi risultano familiari, che danneggiano chi li impersona e le persone di cui si circondano (per un approfondimento, si rimanda agli articoli “La violenza sulle donne – Il “sesso debole”, invenzione di una società patriarcale” e “La condizione della donna – Una violenta quotidianità”), e che in un qualche modo hanno fatto sentire ognuno di noi almeno una volta (con una dose maggiore o minore di orgoglio) un outsider, un deviante rispetto alla “norma”.

Vorrei concludere incoraggiando una riflessione sulla possibilità e la libertà dell’essere umano di dirsi: La mia cultura d’appartenenza, la lingua e le mie tradizioni (il più delle volte adattive per uno sviluppo sano) mi ha affibiat*  a priori delle caratteristiche caratteriali e di temperamento in relazione ai miei caratteri sessuali femminili o maschili. MA IO CHI SONO? Sto comod* nella definizione a priori del mio essere femmina o maschio, o ho bisogno di appropriarmi della mia identità di genere, passando necessariamente per un processo di esplorazione della stessa? Semplificando: posso forse avere il diritto e la possibilità di decidere liberamente chi sono e chi voglio essere o sono la biologia e la società a doverlo fare al posto mio?

Per rispondere a queste domande, vorrei prendere in prestito le parole di Agrado, la transessuale del film “Tutto su mia madre” di Pedro Almodovar, che dice:

“Una persona è più autentica quanto più somiglia all’idea che ha sognato di sé stessa”.

Come ho iniziato con una breve premessa, così vorrei aggiungere una breve postilla: nonostante venga impugnato (e frainteso) per fini più (o meno) alti, lo spauracchio della “teoria del gender” non esiste. La “teoria del gender” non esiste. Esistono invece studiosi che si sono adoperati per poter dare un nome ed una definizione ad alcuni fenomeni esistenti, distinguendo e facendo chiarezza tra questi, che in questo articolo ho cercato di raccogliere e spiegare.

Dott.ssa Giulia Radi

Riceve su appuntamento a Perugia
(+39) 3200185538
giulia.radi@hotmail.it

Per approfondire:

Freud S. (1905) Tre saggi sulla teoria sessuale

Schaffer R.H. (1996) Lo sviluppo sociale

Stoller R.J. (1975) The transsexual experiment

Film: Tutto su mia madre (Almodovar P., 1999)

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