La Sindrome di Asperger
L’arte speciale di comunicare un bisogno celato

L’arte rappresenta un veicolo indispensabile alla nostra crescita personale. In ogni sua forma ci permette di entrare inconsapevolmente in contatto con la dimensione sconosciuta dell’altro, nella profondità di un sentimento, di un vissuto, anche di un malessere fino a quel momento estraneo a noi.  L’arte non è un quadro di Van Gogh: l’arte è quella sensazione che ci pervade vedendo per la prima un quadro di Van Gogh. È il vissuto dell’artista; è il nostro.

Ogni forma d’arte ci dona la possibilità di costruire nostre, uniche percezioni sul mondo, immergendoci in realtà impossibili da percepire altrimenti senza essere l’altro. In sintesi, ci rende ricchi.

Ricordo di essermi soffermata per la prima volta su vissuto analogo quando ero poco più che bambina. Il pensiero era povero, immaturo per poter elaborare quelle sensazioni e dargli un nome. Ma l’arte sa come arrivare lo stesso sopra e sotto la nostra pelle, lasciare delle tracce che, con un pizzico di fortuna, torniamo a raccogliere con il tempo. Ricordo che in tv quella sera davano Rain Man.

Rain Man è un film molto famoso. È la storia di un ragazzo con disturbo dello spettro autistico caratterizzato da alto funzionamento, ovvero da competenze intellettive sopra la media, ma con comportamenti stereotipati, ripetitivi e difficoltà significative nelle interazioni sociali. Con la morte del padre, il ragazzo diviene ereditiere di un cospicuo capitale e viene intercettato dal fratello sconosciuto ed arrivista con l’intento di divenire il suo tutore legale ed impossessarsi di tutta l’eredità. Nel tempo trascorso insieme in un viaggio per determinare le sorti del capitale, entrambi entrano in contatto con emozioni sconosciute che prima spaventano, poi avvicinano, sino al riconoscimento finale del loro legame come ineguagliabile. Anche lo spettatore può facilmente passare dal vissuto del rifiuto legato alla negazione della diversità, sino al soddisfacimento del desiderio di essere riconosciuti come unici ed apprezzati nella propria “specialità”.  

Amavo guardare i film da bambina, ma riuscivo ad essere libera di guardarli solo quando avevo la febbre, di giorno, senza addormentarmi. Associo ancora ora i film alla febbre, alle coperte, al caldo. La sera, come ogni bambino della mia epoca, facevo fatica a restare sveglia a guardare la tv ed avevo anche l’obbligo di andare a dormire alle 9.30.

Quella sera, però, mi faceva fatica abbandonare quel personaggio per andare a dormire. Mi incuriosiva perché non conoscevo il suo modo di essere “speciale”; non sapevo dare un nome al suo vissuto e spiegarmi quei comportamenti un po’ bizzarri, ma percepivo il suo malessere, la sua solitudine, il desiderio di agire diversamente, ma l’impossibilità di farlo. Chiesi a mia madre di registrare il film e così fece. Credo, poi, di non averlo visto nei giorni seguenti. Il film era registrato, la cassetta era lì e le emozioni, la curiosità ed il desiderio di capire erano attivi dentro me, ma penso mi mancasse ancora qualche strumento per comprenderle. Comunque sia, decisi di lasciarlo in stand-by per molto tempo. Lo guardai con maggiore consapevolezza solo da grande e ne ricollegai le emozioni immature. Lo vidi in un giorno “speciale” e …non credo fosse un giorno di febbre.

Grazie all’arte, conobbi molto presto e provai su me stessa la percezione del malessere associato ad un disturbo neuropsicologico dello sviluppo. Fino a non molto tempo fa, avremmo identificato il disturbo di Rain Man come “Autismo ad alto livello di funzionamento” o “Sindrome di Asperger”. Oggi la Sindrome di Asperger non esiste più. Non esiste più solo come definizione, ovviamente. Viene inclusa all’interno di una nuova classificazione del manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-V): i “disturbi dello spettro autistico”. È un minestrone di sindromi che non costituiscono entità separate, ma rappresentano più livelli di un unico continuum patologico. I disturbi dello spettro autistico possono presentarsi con diverse difficoltà: possiamo incontrare bambini immobili, altri che mostrano irritazione di fronte a piccole frustrazioni, altri ancora che mostrano capacità linguistiche impensabili ed altri che non parlano… Nella diagnosi è, ormai, necessario identificare quali abilità sono maggiormente compromesse e che tipo di supporto il disturbo richieda: il focus della diagnosi è quindi sulla gravità del disturbo. Equivale dunque all’Asperger il disturbo dello spettro autistico meno invasivo: non vi è necessità di un supporto intensivo poiché è assente perlopiù la disabilità intellettiva.

Si è scelto di tornare ad un livello di indifferenziato nella classificazione, poiché la distinzione dei singoli disturbi dello spettro autistico come entità indipendenti, lasciava ampio spazio ad errori diagnostici per le molte patologie definite “di confine”, estremamente comuni in una condizione eterogenea come l’autismo.  Mi sembra, d’altra parte, importante sottolineare come, con la nuova definizione, si sia perso il riconoscimento nominativo di un concetto diagnostico indipendente. Più volte ci siamo trovati a discutere sull’importanza dell’uso delle parole, sull’identità che esse conferiscono e sull’unicità che veicolano (per un maggiore approfondimento si rimanda all’articolo Stereotipi e Pregiudizi – Una rosa se non si chiamasse rosa). Una patologia che perde il suo nome all’interno di una classificazione diagnostica, perde metaforicamente la sua identità. Inconsciamente la scelta potrebbe sottendere la negazione dell’esistenza della gravità patologica nella Sindrome di Asperger, o il desiderio di normalizzarla, o…cos’altro?  vorrei lasciare aperta una riflessione a riguardo. In questo articolo, comunque, ho scelto di continuare a chiamare tale disturbo con il suo nome.

Kanner nel 1943 descrisse per la prima volta una condizione patologica che si discosta dal normale sviluppo nell’area del comportamento, dell’interazione sociale e della comunicazione linguistica e gestuale del bambino, definendolo “autismo infantile” (per un maggiore approfondimento si rimanda all’articolo Autismo – Il mondo degli Opossum). A distanza di un anno, nel 1944, Hans Asperger identificò una sindrome dalle caratteristiche del tutto simili a quelle di Kanner, descrivendo come il disturbo fosse causato o da fattori genetici o da lesioni cerebrali (fino ad oggi sorgono controversie sulla natura e sulle cause di questi disturbi, ovvero se siano essi innati o acquisiti). Gli diede il nome di psicopatia autistica; la sindrome acquisì solo successivamente il nome di colui che la teorizzò per la prima volta.

È possibile diagnosticare la sindrome di Asperger soltanto in seguito ad una valutazione dettagliata della storia dello sviluppo del bambino e del comportamento attuale, ricercando la presenza di tre possibile aree patologiche: le interazioni sociali, la comunicazione e l’immaginazione.

Chi ha la sindrome di Asperger possiede competenze intellettive perlopiù intatte, ma ha povera capacità empatica, pattern di comportamenti stereotipati e ripetitivi e una tendenza ad intellettualizzare le emozioni. L’area in cui si strutturano maggiormente le difficoltà è la socialità ed i tentativi di interazione interpersonale rappresentano quasi esclusivamente fallimenti. Si riconosce una tendenza all’isolamento sociale; i pazienti Asperger, infatti, vengono definiti “ciechi sociali”. Non son rari i casi in cui il disturbo venga identificato per la prima volta in adolescenza o in età adulta, essendo le fasi con maggiori richieste sociali (soprattutto l’ adolescenza è caratterizzata dalla centralità delle funzioni sociali adattive).

A differenza del disturbo autistico, nella sindrome di Asperger non si presentano difficoltà nell’acquisizione del linguaggio o delle capacità cognitive. Nella quasi totalità dei casi, non vi è ritardo mentale, caratterizzante invece la maggioranza dei soggetti con autismo; anzi, si può riscontrare soventemente un quoziente intellettivo superiore alla media. Nonostante ciò, la comunicazione verbale è caratterizzata da eloquio innaturale, quasi caricaturale, ovvero privo di modulazione affettiva, ritmo ed intonazione adeguata. I discorsi sono lunghi, talvolta incoerenti e gli argomenti sono perlopiù inusuali e di basso interesse per gli altri. L’immaginazione è compromessa poiché i pazienti presentano un disturbo del pensiero che gli impedisce l’abilità di astrazione. Anche l’acquisizione di competenze motorie è ritardata: sono soggetti  fisicamente maldestri, goffi, poco coordinati nei movimenti. Raramente attivano minime comunicazioni non verbali,  lievemente efficaci, con l’utilizzo di piccoli gesti.

“Chi ha la sindrome di Asperger vuole avere rapporti con gli altri, però non è in grado di instaurarli”

(dal Film “Crazy in Love”)

Tendiamo ad empatizzare molto con il vissuto Asperger, anche solo conoscendolo attraverso forme d’arte. Credo sia una risposta ad un grande senso di impotenza e ingiustizia che ci invade di fronte alla percezione del loro desiderio di relazionarsi nascosto dietro l’ incapacità di farlo.

Sì, perché è difficile accettare che sia possibile per un essere umano esprimere perfettamente un concetto, applicarsi al meglio in un campo di studio specifico ottenendo risultati eccellenti e poi non essere in grado di leggere sul volto degli altri un’emozione, di comprendere un vissuto, di utilizzare l’umorismo.. Gli Asperger non sono in grado di acquisire dalle relazioni con gli altri forme d’arte, e dall’arte la percezione delle emozioni. Hanno la spinta a relazionarsi, ma non ne sono in grado. Ne è un esempio Sheldon Cooper, protagonista del telefilm The Big Bang Theory,  Asperger e genio della fisica con un’intelligenza di gran lunga superiore alla media. Sheldon tenta di comprendere le emozioni degli altri attraverso l’unico mezzo che sa usare, la logica matematica; ci mostra, così, quel desiderio di relazionarsi celato nella sua incapacità.

Credo che in fondo, la loro arte, sia proprio riuscire a comunicare all’esterno le proprie difficoltà e quel desiderio infinito di superare i propri limiti.  È un importante spunto di riflessione per tutti noi che ci nascondiamo spesso dietro un’ipotetica incapacità, quando (la nostra) , forse, è solo paura di provare emozioni, di riconoscerle nell’altro e di mettersi  realmente in gioco nelle relazioni.

Dott.ssa Emanuela Gamba

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emanuela.gamba@libero.it

Per Approfondire:

Bjørkly S. ( 2009 ) “Risk and dynamics of violence in Asperger’s syndrome: a systematic review of the literature” . Aggression and Violent Behavior

Pizzamiglio M.R.,  Piccardi L., Zotti A. (2007), “Lo spettro autistico – Definizione, valutazione e riabilitazione in neuropsicologia”, Franco Angeli

Lefèvre Francoise (1993), “Storia di autismo e amore di madre – Il piccolo principe cannibale”,  Franco Muzzio Editore

“Rain Man” film di  Barry Levinson del 1988

“Crazy in Love” film di Petter Næss del 2005

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